Statine e HIV: come tradurre in pratica i risultati di REPRIEVE nel mondo reale?
A inizio settimana sono stati presentati alla 12° Conferenza dell'International AIDS Society sull'HIV (IAS 2023) in corso a Brisbane, in Australia, i risultati dell'importante studio REPRIEVE, che ha testato l'impiego della somministrazione giornaliera di una statina nelle persone con HIV. Dallo studio è emerso che nei soggetti con rischio cardiovascolare da basso a moderato – a cui normalmente non verrebbero prescritte le statine – con l'assunzione di pitavastatina si osservava una riduzione del 35% del rischio di eventi cardiovascolari importanti come infarto o ictus.
Sebbene l'HIV sia un noto fattore di rischio per le malattie cardiovascolari, i medici esitano a prescrivere le statine a persone con rischio cardiovascolare da basso a moderato per via della mancanza di dati sulla loro efficacia. Il ricercatore a capo di REPRIEVE, il prof. Steven Grinspoon, ha proposto di modificare le linee guida includendo la raccomandazione della terapia con statine per le persone con infezione da HIV.
REPRIEVE ha mostrato che questa terapia ha evidenti benefici: occorre però soppesarli in rapporto ai potenziali danni. La statina impiegata è infatti associata a un aumento del tasso di diabete: certo, è di entità lieve, ma prescrivendo le statine a tutti coloro che presentano un rischio basso o moderato questo aumento si potrebbe comunque tradurre in un considerevole numero di casi di diabete in più.
Il dott. Andrew Hill dell'Università di Liverpool ha riferito a NAM aidsmap che alcuni medici africani non sono sicuri che la pitavastatina garantirà benefici significativi se si tiene conto del rischio aggiuntivo di diabete, che in Africa è una delle principali cause di morte.
La pitavastatina è attualmente disponibile in molti paesi, e questa disponibilità aumenterà ulteriormente quando scadrà dal brevetto, probabilmente agli inizi del 2024. Questa statina è stata selezionata per REPRIEVE perché è generalmente ben tollerata e non interagisce con gli antiretrovirali. Laddove la pitavastatina non fosse disponibile, secondo i membri del panel può essere ragionevolmente sostituita con un'altra statina con profilo favorevole di sicurezza.
Le statine "non sono farmaci di lusso", ha detto Grinspoon, anzi: quando non sono coperte da brevetto sono "veramente economiche", il che potrebbe renderle disponibili a tutti.
I risultati di REPRIEVE evidenziano anche la necessità di mettere a punto migliori strumenti di previsione del rischio specifici per le persone con HIV. Il panel ha perciò sollevato un'altra questione: a chi sarà affidata la gestione della prevenzione delle malattie cardiovascolari e la prescrizione di statine, agli infettivologi/specialisti in HIV o ai medici di base? Perché nel primo caso, l'accesso alla terapia potrebbe essere più limitato.
L'impiego delle statine, hanno concordato gli esperti del panel, dovrebbe inserirsi un più ampio piano di prevenzione delle malattie cardiovascolari che enfatizzi uno stile di vita corretto per la salute cardiaca.
Bictegravir sicuro ed efficace in gravidanza
Il Biktarvy è un farmaco già raccomandato per il trattamento antiretrovirale degli adulti, ma finora mancavano dati sulla sua sicurezza ed efficacia in gravidanza. Il bictegravir viene metabolizzato da enzimi che intensificano la loro attività durante la gravidanza e il legame alle proteine è ridotto, il che può risultare in concentrazioni più basse di farmaco.
Questo studio ha valutato la sicurezza, l'efficacia e la farmacocinetica del Biktarvy in donne con HIV che avevano ottenuto la soppressione virale con il regime antiretrovirale che avevano seguito fino a quel momento, tutte al secondo o terzo trimestre di gravidanza.
Le partecipanti sono passate al Biktarvy al momento dell'ingresso nello studio, e tutte e 32 hanno mantenuto la soppressione virale al momento del parto e fino al termine del successivo periodo di osservazione 18 settimane. È stato segnalato un solo evento avverso correlato all'assunzione del farmaco (falso travaglio), ma nessuna delle partecipanti ha interrotto l'assunzione del Biktarvy.
Sono stati eseguiti prelievi di sangue nelle 24 ore successive all'assunzione del farmaco a intervalli regolari nel secondo e terzo trimestre e alla 12° e 16° settimana dopo il parto. È risultato che le concentrazioni di bictegravir durante la gravidanza erano più basse rispetto a dopo il parto, ma anche le concentrazioni più basse registrate restavano sufficienti.
Nessuno dei bambini nati dalle partecipanti presentava HIV rilevabile. Nei neonati, l'emivita del bictegravir (ossia il tempo impiegato dai livelli ematici del farmaco per dimezzarsi) è stata di 43 ore, più del doppio di quella osservata negli adulti (18 ore).
Vaccino COVID-19, efficacia più bassa nelle persone HIV+ che consumano stupefacenti per via iniettiva
Dallo studio è emerso che le persone HIV-positive con precedenti di uso di stupefacenti per via iniettiva avevano maggior rischio di risultare positive al test per SARS-CoV-2 dopo la vaccinazione, e in tempi più ristretti rispetto ad altre persone vaccinate con o senza infezione da HIV.
Gli autori hanno utilizzato i dati raccolti sui test per SARS-CoV-2 nella provincia per individuare le persone HIV-positive dai 19 anni in su che si erano sottoposte al test per SARS-CoV-2 tra dicembre 2020 e dicembre 2021. Per lo studio, 2700 persone con HIV sono state abbinate a 375.043 persone HIV-negative. Il 40% delle persone con HIV aveva precedenti di uso di stupefacenti per via iniettiva, contro il 4% di quelle HIV-negative. Durante il periodo di studio sono risultate positive al test per SARS-CoV-2 un totale di 351 persone con HIV e di 103.049 persone HIV-negative.
I ricercatori hanno valutato l'efficacia del vaccino in base al numero di dosi ricevute e all'intervallo tra la ricezione della seconda dose e l'esito positivo di un test per SARS-CoV-2. Nelle persone con HIV, l'efficacia del vaccino (riduzione del rischio di esito positivo del test) nelle persone con precedenti di uso di stupefacenti per via iniettiva è stata del 65%, contro l'80% per chi invece non ne aveva mai fatto uso.
Nelle persone con HIV senza precedenti di uso, l'efficacia del vaccino si è mantenuta superiore all'80% fino a 119 giorni dopo aver ricevuto la seconda dose. Per chi invece aveva precedenti di uso, l'efficacia del vaccino fino a 119 giorni dopo la seconda dose è rimasta intorno al 65%. In entrambi i gruppi, l'efficacia è calata dopo i 120 giorni, scendendo al 64% nelle persone senza precedenti di uso e al 42% in quelle con.
Secondo gli autori dello studio, questi risultati indicano che per questo gruppo di popolazione la vaccinazione è meno efficace, e che chi fa uso di sostanze stupefacenti per via iniettiva potrebbe dunque aver bisogno di un richiamo in tempi più ristretti rispetto ad altre persone con HIV; la dimensione del campione di studio, hanno però fatto presente, era relativamente piccola. Gli studiosi comunque ipotizzano che questa ridotta efficacia possa essere imputabile alle co-morbilità che gravano su chi assume stupefacenti per via iniettiva.
Nei programmi di trattamento dell'HIV occorre finanziare anche le cure per l'ipertensione
"Occorre però che nei programmi di trattamento di massa dell'HIV si preveda di sostenere e finanziare anche diagnosi e trattamento dell'ipertensione", ha aggiunto il professore alla Conferenza.
Due ampi studi hanno riscontrato che una quantità di partecipanti compresa tra un terzo e la metà del totale sviluppava ipertensione o pre-ipertensione dopo quattro anni di trattamento.
Lo studio NAMSAL, condotto in Camerun, ha randomizzato 613 persone con HIV per ricevere dolutegravir oppure efavirenz a basso dosaggio (400 mg) in combinazione con tenofovir disoproxil fumarato (TDF) e lamivudina.
L'aumento di peso aggrava il rischio di sviluppare ipertensione, che a sua volta aggrava quello di problemi cardiovascolari e di altri problemi di salute. I partecipanti di entrambi i bracci dello studio sono stati interessati da un aumento di peso, che però è risultato maggiore in quelli trattati con dolutegravir (9 kg nelle donne e 7 kg negli uomini dopo 192 settimane).
Man mano che il peso aumentava, la pressione sanguigna iniziava a salire. Alla fine dello studio, la pressione arteriosa sistolica (massima) nelle persone che assumevano dolutegravir era aumentata di 10 mmHg, un valore significativamente superiore a quello di chi assumeva efavirenz. All'inizio dello studio, nei due bracci di studio le percentuali di ipertesi erano simili (12% e 10%); alla fine, invece, nel braccio del dolutegravir la percentuale era salita al 31%, mentre in quello dell'efavirenz era addirittura scesa al 9%.
Lo studio ADVANCE ha coinvolto 1053 persone in Sudafrica mettendo a confronto il trattamento con efavirenz (600 mg), TDF ed emtricitabina; con dolutegravir, TDF ed emtricitabina; o con dolutegravir, tenofovir alafenamide (TAF) ed emtricitabina. Dopo 192 settimane, i partecipanti maggiormente aumentati di peso erano quelli del braccio del dolutegravir con TAF (10 kg le donne, 7 kg gli uomini).
Al basale, circa il 10% dei partecipanti di ciascun braccio dello studio era in trattamento per ipertensione arteriosa. Il 13% del gruppo trattato con dolutegravir più TAF ha sviluppato ipertensione nel corso dello studio, rispetto all'11% del braccio del dolutegravir più TDF e all'8% del braccio dell'efavirenz.
I valori della pressione sono aumentati nel corso del tempo, anche se l'aumento medio della pressione sistolica dopo quattro anni è stato inferiore in ADVANCE (+2 mmHg) rispetto a NAMSAL: questo perché al momento della diagnosi l'ipertensione veniva trattata di routine. Il prof. Venter ha detto che in Sudafrica l'ipertensione è facilmente trattabile con farmaci generici a basso costo.
All'inizio dello studio, una consistente percentuale di partecipanti aveva già la pressione alta (39% nel braccio del dolutegravir e 38% nel braccio dell'efavirenz). Alla 192° settimana, queste percentuali erano aumentate al 54% nel gruppo dolutegravir e al 47% nel gruppo efavirenz.
Secondo il prof. Venter, l'analisi preliminare porta a pensare che questa differenza sia da associare all'aumento di peso piuttosto che al trattamento.
Un altro studio presentato alla Conferenza ha però mostrato che, in una serie di coorti di persone HIV+ in Europa e Australia, il tasso di ipertensione era più alto in coloro che assumevano sia il TAF che un inibitore dell'integrasi, anche dopo l'aggiustamento per l'aumento di peso durante il trattamento.
Nell'analisi sono state considerate 9704 persone. Il 30% ha sviluppato ipertensione durante 39.993 anni-persona di follow-up. In confronto a chi non assumeva né un inibitore dell'integrasi né il TAF, chi li assumeva entrambi aveva un tasso di ipertensione maggiore del 48%, dopo l'aggiustamento per l'indice di massa corporea (IMC) aggiornato nel tempo e altri fattori confondenti. Detto altrimenti, il tipo di trattamento antiretrovirale assunto risultava associato al rischio di sviluppare ipertensione anche dopo l'aggiustamento per le variazioni dell'IMC durante lo studio.
Anche il trattamento con un inibitore dell'integrasi senza TAF o con TAF senza inibitore dell'integrasi è stato associato a un tasso più elevato di ipertensione dopo l'aggiustamento per le variazioni dell'IMC, ma con un minor aumento dell'incidenza rispetto al trattamento senza un inibitore dell'integrasi o senza TAF (33% in più con il TAF e 25% in più con un inibitore dell'integrasi).
Coercizione riproduttiva riferita da molte donne con HIV
Per coercizione riproduttiva si intendono dei comportamenti atti a fare pressione su una persona interferendo con la sua autonomia decisionale rispetto alla salute riproduttiva, costringendola a fare interventi in questo senso senza il suo consenso libero e informato.
L'equipe di ricerca ha utilizzato i dati raccolti dal People Living with HIV Stigma Index 2.0, uno strumento standardizzato che consente alle persone con HIV di denunciare comportamenti stigmatizzanti o discriminanti da loro subiti.
La raccolta dati ha avuto luogo tra il 2021 e il 2022 in 11 paesi dell'Africa e in cinque dell'Europa orientale e dell'Asia centrale (EOCAC). Gli autori dello studio hanno cercato segnalazioni di pratiche coercitive in ambito di pianificazione familiare o gravidanza, o di esperienze di sterilizzazione forzata o coatta.
Alle partecipanti è stato chiesto di segnalare esperienze subite nell'anno precedente. La sterilizzazione forzata è stata riferita dall'1% delle donne dell'Africa subsahariana e dal 3% delle donne dell'area EOCAC. Atti di coercizione riguardanti la pianificazione familiare coercitiva sono stati riferiti dal 2% delle donne dell'Africa subsahariana e dal 4% delle donne dei paesi EOCAC; per il 5% e il 10% delle donne, rispettivamente, la coercizione subita riguardava la gravidanza.
Ancora più a rischio sono risultate le donne con infezione da HIV che rientravano in particolari sottogruppi: per le sex worker, per le donne che fanno uso di stupefacenti e per le migranti che sono anche HIV-positive le probabilità di aver subito atti di coercizione riproduttiva erano maggiori.
L'equipe di ricerca ha analizzato i dati facendo rientrare ogni donna in uno solo di questi sottogruppi. Secondo la dott.ssa Carrie Lyons della Johns Hopkins School of Public Health, però, conducendo un'analisi intersezionale, l'appartenenza simultanea a più sottogruppi si sarebbe probabilmente dimostrata un'ulteriore aggravante della vulnerabilità di queste donne.
L'analisi scientifica di Clinical Care Options
Per approfondire l’analisi scientifica dei dati presentati a IAS 2023, Clinical Care Options offre dei brevi webinar post-conferenza, tenuti da esperti, sulle principali strategie di prevenzione dell'HIV, sugli studi in materia di trattamento dell'HIV, sui regimi terapeutici nuovi e sperimentali. È possibile partecipare ai webinar on demand, scaricare le presentazioni PowerPoint e acquisire una prospettiva globale sull'HIV grazie agli approfondimenti di ClinicalThought.