I servizi per le popolazioni chiave in Uganda dopo la legge anti-omosessualità
L'Anti-Homosexuality Act, firmato e promulgato in legge dal presidente Museveni il 26 maggio 2023, criminalizza i comportamenti omosessuali prevedendo pene dai 10 anni di reclusione alla pena di morte. La legge vieta anche la 'promozione dell'omosessualità', e – non essendo questa chiaramente definita – questo rischia di criminalizzare anche le attività di prevenzione dell'HIV e di sensibilizzazione e assistenza sul territorio. Anche la mancata denuncia di chiunque sia sospettato di violazioni è considerata reato.
L'ambasciatrice statunitense in Uganda Natalie Brown è intervenuta alla 12° Conferenza dell'International AIDS Society sull'HIV (IAS 2023), tenutasi a Brisbane, in Australia, per richiamare l'attenzione sul problema.
"Fin da prima dell'approvazione ufficiale, continuiamo a vedere casi di persone a cui viene negato il trattamento, o che vengono denunciate alla polizia quando vanno a curarsi", ha denunciato l'ambasciatrice. "Vengono licenziate dal lavoro e sfrattate dalle loro case, diventando così più esposte a sfruttamento. E cresce il numero di persone che hanno paura anche solo di richiedere assistenza sanitaria o di denunciare un abuso".
Il dott. Vamsi Vasireddy, a capo dei programmi PEPFAR (Piano di Emergenza per l'AIDS della Presidenza USA) in Uganda, ha descritto l'impatto di questa legge sugli 84 centri drop-in sparsi nel paese che forniscono servizi di prevenzione e trattamento dell'HIV per gruppi di popolazioni chiave. Oltre alla drastica riduzione degli utenti, tra le conseguenze nell'immediato si annoverano anche la temporanea chiusura di quattro centri e l'aumento di aggressioni e sfratti nei confronti di uomini che hanno rapporti sessuali con altri uomini e persone transgender.
A marzo, il PEPFAR ha avviato misure che comprendono interventi assistenziali da remoto e app specifiche per le popolazioni chiave. È stata resa disponibile la consegna a domicilio di antiretrovirali, preservativi e farmaci per la PrEP (quelli che si assumono regolarmente per prevenire l'infezione da HIV). Sono state rafforzate le misure di sicurezza nei centri ed è stata incrementata l'erogazione di quantitativi di farmaci sufficienti per più mesi. Queste misure hanno consentito di ottenere un graduale aumento degli assistiti in tre centri di accoglienza, fino a circa 50 a settimana; altri centri, invece, non hanno registrato aumenti simili nonostante gli interventi. Continuano poi gli sforzi per mettere in sicurezza i centri drop-in.
"La costituzionalità della legge è ora all'esame dei tribunali ugandesi, e gli Stati Uniti continuano a seguire da vicino gli sviluppi della situazione", ha aggiunto l'ambasciatrice Brown alla Conferenza. "Vogliamo proteggere i diritti umani di tutti i cittadini ugandesi e assicurarci che i nostri investimenti nella salute, in particolare nella gestione dell'epidemia da HIV/AIDS, riescano a raggiungere i beneficiari previsti, tra cui le popolazioni chiave".
Gli inibitori dell'integrasi aumentano il rischio di diabete a prescindere dall'aumento di peso
Dhanushi Rupasinghe, epidemiologo al Kirby Institute dell'Università del Nuovo Galles del Sud, ha presentato a IAS 2023 un'analisi del rapporto tra aumento di peso durante il trattamento antiretrovirale e rischio di diabete tra le persone con infezione da HIV partecipanti allo studio di coorte RESPOND.
RESPOND combina i dati di 19 coorti di persone HIV+ in trattamento in Europa e Australia. Vi hanno preso parte 20.865 persone, seguite per una media di 4,8 anni.
Durante il periodo di follow-up, il 4% dei partecipanti ha sviluppato il diabete, definito come un riscontro di glicemia (concentrazione di glucosio nel sangue) superiore a 11,1 mmol/l, o di emoglobina glicata (HbA1c) superiore a 6,5% (o a 48mmol/mol), o l'uso di farmaci antidiabetici. Il tasso di incidenza è stato di 7,8 casi per 1000 anni-persona di follow-up.
Sono quattro i fattori risultati associati a un aumento del rischio di sviluppare il diabete di tipo 2. Chi assumeva un inibitore dell'integrasi aveva il 48% di rischio in più di sviluppare il diabete rispetto chi era trattato con altri regimi antiretrovirali. Il rischio aumentava poi dell'80% se il paziente era di etnia nera o altre etnie, rispetto a chi era di etnia bianca. Anche chi soffriva di ipertensione o aveva una bassa conta di CD4 era più soggetto a sviluppare il diabete.
Sebbene l'indice di massa corporea sia risultato fortemente associato al diabete e l'effetto sia stato più marcato in presenza di obesità (come nella popolazione generale), l'aumento del rischio di diabete associato all'assunzione di inibitori dell'integrasi era indipendente dal peso.
Gli inibitori dell'integrasi hanno sì mostrato di aumentare il rischio di diabete, ma il numero assoluto di casi aggiuntivi è stato molto basso. Secondo le stime, a sviluppare il diabete in seguito all'assunzione di un inibitore dell'integrasi sono solo tre persone per ogni 1000 anni di follow-up. Gli autori hanno concluso che sono necessari ulteriori studi per comprendere il meccanismo per il quale il rischio di diabete aumenta se si assumono inibitori dell'integrasi.
Anche nell'era Omicron le persone HIV+ sono esposte a maggior rischio di morte per COVID-19
Nelle persone con HIV i decessi per COVID-19 sono diminuiti in modo molto meno marcato rispetto al resto della popolazione dopo la comparsa della variante Omicron, ha riferito a IAS 2023 l'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). Uno studio ha calcolato che durante l'ondata Omicron è morta una persona HIV+ ricoverata per COVID-19 su cinque, contro solo una su 10 tra le persone senza infezione da HIV.
La variante Omicron di SARS-CoV-2 è emersa verso la fine del 2021, sostituendo le altre varianti come causa di quasi tutti i ricoveri ospedalieri per COVID-19. Sebbene fosse più contagiosa delle varianti precedenti, si è presto osservato che Omicron aveva meno probabilità di provocare malattie gravi rispetto alla precedente variante Delta.
Ma c'era ragione di sospettare che, nelle persone con infezione da HIV, Omicron continuasse a causare tassi più elevati di malattie gravi. Una precedente analisi dell'OMS relativa al periodo fino a maggio 2022 aveva già evidenziato che il rischio di morte durante l'ondata Omicron in Sudafrica era più elevato tra le persone con HIV rispetto al resto della popolazione.
Per approfondire questo aspetto, un'equipe di ricercatori dell'OMS ha analizzato i dati relativi a 821.331 persone ospedalizzate per COVID-19 in 38 Paesi. Gli studiosi hanno confrontato gli outcome post-ricovero in base allo stato sierologico per HIV tra tre diverse ondate della pandemia: l'ondata pre-Delta nel 2020, l'ondata Delta nel 2020-21 e l'ondata Omicron tra la fine del 2021 e l'inizio del 2022. Poco più del 5% dei casi (43.699) interessavano persone con HIV. Circa il 90% dei dati sulle persone con HIV proveniva dal Sudafrica; i ricercatori non hanno specificato se questi risultati trovino riscontro anche in altre regioni globali.
Complessivamente, sono morte dopo il ricovero in ospedale il 19% delle persone HIV-negative e il 23% di quelle HIV-positive. Per chi non aveva un'infezione da HIV, il tasso di mortalità è diminuito costantemente durante ogni fase della pandemia, dal 22% nell'ondata pre-Delta al 20,9% nell'ondata Delta, scendendo addirittura al 9,8% nell'ondata Omicron.
Nelle persone con HIV, invece, questa diminuzione è stata più modesta: il tasso di mortalità è stato infatti del 24,2% nell'ondata pre-Delta, del 23,4% nell'ondata Delta e del 19,6% nell'ondata Omicron.
La vaccinazione è risultata associata a un rischio di decesso post-ricovero inferiore del 39% nell'ondata Delta e del 38% nell'ondata Omicron.
"Questi risultati sottolineano la necessità di seguire le raccomandazioni dell'OMS somministrando dosi di richiamo del vaccino a tutte le persone con infezione da HIV anche durante le ondate di varianti di SARS-CoV-2 meno gravi e a bassa incidenza", hanno concluso i ricercatori.
Cosa vogliono le donne transgender in Asia dalla PrEP
Se la PrEP (farmaci assunti regolarmente per prevenire l'infezione da HIV) fosse erogata con modalità attagliate alle esigenze delle donne transgender in Asia, l'adesione da parte di questa popolazione potrebbe aumentare addirittura dell'87%: è quanto si apprende da uno studio presentato a IAS 2023. Gli elementi chiave emersi sono che la PrEP dovrebbe essere gratuita, iniettabile, priva di effetti collaterali e da assumersi ogni 6-12 mesi presso centri assistenziali attivi sul territorio e gestiti da pari, dove venga anche offerto come servizio aggiuntivo il test per le infezioni sessualmente trasmissibili.
Oltre il 15% delle persone con HIV vive nella regione Asia-Pacifico, dove si registrano 260.000 nuove diagnosi all'anno. Le donne transgender sono un gruppo particolarmente esposto, con un rischio di acquisire l'infezione 66 volte più alto rispetto alla popolazione generale. Da qui l'importanza di avere in questi paesi dei servizi PrEP che vadano incontro alle esigenze delle donne transgender.
Warittha Tieosapjaroen del Sexual Health Centre di Melbourne e colleghi hanno condotto uno studio per individuare i principali fattori che influenzano la decisione di assumere la PrEP da parte delle donne transgender di 11 paesi della regione. A 1522 donne transgender è stato somministrato un questionario da compilare online attraverso app di incontri, piattaforme social, mailing list di comunità locali di persone transgender e influencer attivi sui social.
Il fattore principale che influenzava la decisione di assumere la PrEP è stato il costo (62%); a seguire, il tipo di PrEP (10%), il sito di erogazione (8%), i servizi extra (8%), la frequenza delle somministrazioni (7%) e gli effetti collaterali (5%).
Una presentazione su poster della stessa indagine ha rivelato che l'adesione alla PrEP orale in Asia è stata finora molto più lenta rispetto all'obiettivo previsto per il 2025 per questa regione. Al momento è stato raggiunto solo il 3% dell'obiettivo di 4 milioni. Lo studio ha però evidenziato anche che tra le donne transgender c'è una significativa domanda di PrEP che rimane insoddisfatta: tra le persone che avrebbero bisogno di PrEP e non la assumevano, quasi il 35% ne aveva sentito parlare e voleva effettivamente assumerla, ma semplicemente non l'aveva mai fatto.
Counseling per l'aderenza inverte rebound virale con dolutegravir nel 95% dei casi
Le linee guida per il trattamento raccomandano che chi assume un NNRTI come l'efavirenz passi a un altro regime se la carica virale torna a salire oltre 1000. Dopo un rebound, infatti, può rapidamente svilupparsi una resistenza agli NNRTI.
La resistenza al dolutegravir si sviluppa invece meno facilmente. Le linee guida dell'Organizzazione Mondiale della Sanità raccomandano un approccio alternativo, consistente nell'offerta di un intervento di counseling intensificato con la ripetizione del test della carica virale dopo tre mesi, per verificare l'eventuale ri-soppressione.
Il dott. Hill e colleghi hanno esaminato gli outcome di un gruppo di pazienti in cui si era osservato un rebound virale superiore a 1000 nello studio ADVANCE, che ha confrontato due regimi a base di dolutegravir con un regime a base di efavirenz in 1053 persone con infezione da HIV in Sudafrica.
Sono stati confrontati il tempo impiegato a raggiungere la prima soppressione virale, quello a cui si è avuto il rebound e quello impiegato per raggiungere nuovamente la soppressione. Il tasso di fallimento virologico, definito come il riscontro di una carica virale superiore a 1000, non ha mostrato differenze significative tra i bracci dello studio durante le 192 settimane di follow-up.
Il tasso di ri-soppressione virale, invece, alla 24° settimana era significativamente più alto nel gruppo del dolutegravir rispetto al gruppo dell'efavirenz: 88% contro 46% (le percentuali sono salite rispettivamente al 95% e 66% alla settimana 48). Tuttavia, la percentuale di persone rimaste in terapia con efavirenz dopo il rebound virale è stata inferiore.
Secondo gli autori dello studio, questi risultati corroborano le recenti linee guida sudafricane, in cui si raccomanda a coloro che sperimentano un rebound virale di cambiare il regime con dolutegravir solo se presentano mutazioni che causano resistenza agli inibitori dell'integrasi. Da questi dati sembra di evincere che, se qualcuno fatica ad aderire a un regime che comprende il dolutegravir, affrontando queste difficoltà potrà continuare più a lungo ad assumere un regime antiretrovirale semplice e conveniente.
La PrEP iniettabile sarà mai costo-efficace a prezzi accessibili?
Secondo due studi sullo switch dalla PrEP orale a quella iniettabile in Paesi a reddito medio-alto, il prezzo del cabotegravir iniettabile a lunga durata d'azione dovrebbe scendere a molto meno di 100 dollari all'anno perché sia conveniente in termini di costo-efficacia, impedendo un maggior numero di infezioni e consentendo di un maggior risparmio sui costi sanitari futuri rispetto all'impiego di tenofovir/emtricitabina per via orale.
Le persone HIV+ non sono esposte a maggior rischio di mpox grave, a meno che non siano immunosoppresse
Secondo un'ampia analisi dell'Organizzazione Mondiale della Sanità, le persone con infezione da HIV non hanno maggiori probabilità di essere ospedalizzate per una forma grave di mpox (denominazione che ha sostituito quella di 'vaiolo delle scimmie'), salvo che in caso di soppressione immunitaria avanzata. Questi risultati evidenziano quanto sia importante sottoporsi al test per l'HIV e iniziare tempestivamente la terapia antiretrovirale per preservare la funzione immunitaria.
L'analisi scientifica di Clinical Care Options
Per approfondire l’analisi scientifica dei dati presentati a IAS 2023, Clinical Care Options offre dei brevi webinar post-conferenza, tenuti da esperti, sulle principali strategie di prevenzione dell'HIV, sugli studi in materia di trattamento dell'HIV, sui regimi terapeutici nuovi e sperimentali. È possibile partecipare ai webinar on demand, scaricare le presentazioni PowerPoint e acquisire una prospettiva globale sull'HIV grazie agli approfondimenti di ClinicalThought.