Parigi, regimi con meno farmaci sempre più diffusi
È quanto emerge da uno studio presentato dal dott. Luis Sagaon-Teyssier alla 19° Conferenza Europea sull'AIDS (EACS 2023), tenutasi la scorsa settimana a Varsavia, in Polonia.
Il fine delle strategie di riduzione è ridurre l'esposizione ai farmaci antiretrovirali. I regimi a due farmaci composti da dolutegravir più lamivudina (Dovato) o più rilpivirina (Juluca) si sono dimostrati efficaci nel sopprimere la carica virale quanto i regimi standard a tre farmaci.
Sono stati studiati anche regimi di trattamento con assunzione intermittente (in cui i farmaci vengono assunti solo quattro giorni su sette). Nello studio QUATUOR, condotto in Francia, questo tipo di regime si è mostrato in grado di mantenere la soppressione virale quanto un regime con assunzione giornaliera, pur con un tasso lievemente superiore di fallimento virologico dopo due anni. Un altro studio condotto sempre in Francia e presentato a EACS 2023 la settimana scorsa, invece, ha riscontrato che l'assunzione intermittente (sempre quattro giorni sì e tre no) con un regime a due soli farmaci portava a tassi più elevati di fallimento virologico e farmacoresistenza.
Per valutare l'opportunità di queste strategie e il loro impatto sulla virosoppressione nonché sui costi delle terapie antiretrovirali, i ricercatori hanno seguito 2288 persone HIV+ in trattamento nel 2015 presso l'Ospedale Pitié-Salpêtrière di Parigi. All'inizio dello studio, il 78% dei partecipanti assumeva un regime a tre farmaci e il 22% uno a due farmaci.
Nel 2022, metà di tutti i pazienti considerati nell'analisi assumevano un regime con meno farmaci, e la percentuale di partecipanti con carica virale non rilevabile era rimasta invariata.
Tra i pazienti che nel 2015 assumevano un regime a tre farmaci con assunzione quotidiana, il 23% era passato entro il 2022 a un regime a due farmaci, con assunzione quotidiana o intermittente; il 19% continuava invece a seguire un regime a tre farmaci, ma era passato alla modalità di assunzione intermittente.
Tra i pazienti che nel 2015 seguivano un regime a due farmaci con assunzione quotidiana, il 60% ha continuato ad assumerlo senza variazioni, mentre il 19% è passato alla modalità intermittente; il 24%, invece, è passato a un regime a tre farmaci.
Complessivamente, le strategie che prevedono la riduzione del numero di farmaci nei regimi terapeutici sono risultate associate a un abbassamento del 29% dei costi, che sale al 58% per quelle che prevedono la modalità di trattamento intermittente. Va però tenuto presente che il 2015 e il 2022 i costi delle terapie sono diminuiti in generale, anche per via della maggior disponibilità di versioni generiche dei farmaci più comunemente prescritti.
Londra, sempre più persone con HIV optano per lo switch terapeutico
Il team di ricercatori che ha condotto lo studio ha raccolto i dati medici relativi a 10.905 persone con HIV in cura presso quattro centri specialistici di Londra, in Inghilterra, che hanno scelto di cambiare regime di trattamento tra agosto 2021 e gennaio 2022. Nel lasso di tempo considerato dallo studio sono stati effettuati 984 switch terapeutici, per un tasso annuale del 18%.
Analogamente a dieci anni fa, la principale motivazione del cambio di regime è risultata l'intolleranza ai farmaci, alla base del 37% di tutti gli switch.
I ricercatori hanno anche calcolato i tassi di switch per tossicità differenziati per ciascun farmaco, riscontrando differenze notevoli. L'efavirenz, presente nell'Atripla, era responsabile di un quarto di tutti gli switch per ragioni di intolleranza farmacologica. Seguiva con il 23% il tenofovir disoproxil (TDF), presente in più regimi monocompressa: in questo caso, la frequenza degli switch è probabilmente da attribuirsi alla disponibilità della formulazione alternativa tenofovir alafenamide (TAF). Il terzo farmaco più sostituito per ragioni di intolleranza è stato il dolutegravir, presente in Triumeq, Juluca e Dovato (13%).
La seconda motivazione più diffusa per il cambio di regime terapeutico sono state le interazioni farmacologiche, responsabili del 33% di tutti gli switch effettuati in questa coorte: un dato otto volte superiore rispetto a dieci anni fa. Questo aumento potrebbe essere legato al fatto che molte persone con infezione da HIV stanno invecchiando, dunque più persone assumono farmaci per altre patologie croniche.
La semplificazione del trattamento è stata la terza motivazione più diffusa, pari al 17% di tutti gli switch. Il cambio di regime terapeutico più frequente per ragioni di semplificazione è stato il passaggio dal regime a tre farmaci Triumeq a quello a due farmaci Dovato.
L'aumento degli switch terapeutici può trovare spiegazione nel rapido ampliamento delle opzioni terapeutiche disponibili sul mercato dei farmaci anti-HIV nell'ultimo decennio. E non è necessariamente motivo di preoccupazione, anzi: può essere risultato della disponibilità di opzioni migliori e segno della volontà di medici e pazienti di sperimentare regimi diversi per ridurre al minimo gli effetti collaterali e le interazioni farmacologiche.
Il dolutegravir potrebbe favorire la formazione di coaguli, con conseguenze per il rischio di ictus e infarto: lo segnalano i primi risultati di uno studio
Va precisato che si tratta di esperimenti "da laboratorio", per cui sarà necessario condurre ulteriori valutazioni cliniche su persone con infezione da HIV. Le piastrine sono cellule del sangue responsabili della coagulazione, che si attivano in risposta a stimoli, come una lesione, per riparare i tessuti danneggiati. L'iperattivazione piastrinica può però provocare un'indebita formazione di coaguli, potenzialmente aumentando il rischio di ictus, infarto e altri gravi disturbi.
Renos Keniyopoullos e i suoi colleghi dell'Imperial College di Londra hanno estratto le piastrine da campioni di sangue prelevati da donatori senza infezione da HIV, le hanno messe a contatto con delle sostanze presenti nell'organismo note per innescare l'aggregazione piastrinica (coagulazione) e infine hanno aggiunto dolutegravir o bictegravir (un farmaco simile, presente in Biktarvy). La quantità di farmaco aggiunta rifletteva le concentrazioni ematiche normalmente riscontrate nelle persone con HIV. In un'altra fase dell'esperimento, sono stati aggiunti anche i farmaci con cui dolutegravir e bictegravir sono solitamente combinati, per valutare eventuali effetti aggiuntivi.
Rispetto a quelle esposte solo a una delle sostanze naturali che attivano la coagulazione, le piastrine messe a contatto con il dolutegravir producevano livelli di coagulazione di 3,6 volte superiori. In un esperimento separato con un'altra sostanza naturale in grado di attivare la coagulazione, in presenza di dolutegravir l'attività coagulativa raddoppiava. L'aggiunta degli altri farmaci solitamente combinati con il dolutegravir non ha invece prodotto modifiche negli effetti osservati.
Anche il bictegravir sembra far aumentare lievemente l'attività di coagulazione delle piastrine, ma l'effetto è molto più limitato.
Questi risultati, come si diceva, si basano su test di laboratorio che non possono riflettere esattamente ciò che accade nell'organismo umano. Consapevole di questo importante limite, Renos Keniyopoullos ha riferito alla Conferenza che l'équipe sta già lavorando a uno studio di follow-up in cui verrà misurato il livello di attivazione delle piastrine di persone che assumono regimi a base di dolutegravir.
L'indice di massa corporea è indicatore sufficiente per predire diabete e sindrome metabolica, dice uno studio italiano
L'IMC, che si ottiene dividendo il peso corporeo in chilogrammi di un individuo per il quadrato della sua statura in metri, può essere utilizzato per predire il rischio di sviluppare diabete o sindrome metabolica (una qualsiasi combinazione di tre patologie tra dislipidemia, iperglicemia, ipertensione o obesità). L'IMC non fornisce però indicazioni circa la distribuzione del grasso corporeo e non distingue tra massa grassa e massa magra, ossia non dà la misura di quanto i muscoli contribuiscono alla massa corporea. Il grasso viscerale, quello che si accumula intorno agli organi, svolge infatti un ruolo molto più importante nello sviluppo di malattie cardiache rispetto al grasso sottocutaneo.
Sussistono anche differenze nella distribuzione del grasso corporeo e nella massa muscolare (magra) in base all'etnia: i livelli di IMC a partire dai quali aumenta il rischio di diabete o di malattie cardiovascolari variano. In un recente studio condotto nel Regno Unito si è osservato che persone di origine sud-asiatica con un IMC pari a 23 avevano lo stesso rischio di diabete di persone di etnia bianca con un IMC di 30.
La composizione corporea, però, può essere misurata solo tramite scansione DEXA o risonanza magnetica, e non sono test disponibili nell'assistenza sanitaria di base né in molte strutture specializzate per la cura dell'HIV. La dott.ssa Jovana Milić e i suoi colleghi della Clinica Metabolica dell’Università di Modena e Reggio Emilia hanno dunque deciso di verificare se le variazioni della composizione corporea misurate con la DEXA fossero un fattore predittivo dello sviluppo di diabete o sindrome metabolica migliore dell'IMC nella persona con HIV.
Durante il follow-up, 219 persone hanno sviluppato il diabete (incidenza 1,5 per 100 anni-persona); 377 hanno sviluppato una sindrome metabolica (3,7 per 100 anni-persona); e 417 hanno avuto un outcome composito di diabete o sindrome metabolica (4,1 per 100 anni-persona).
Le variazioni di IMC, grasso addominale, massa magra, densità minerale ossea lombare e grasso viscerale sono tutti risultati predittori dell'outcome composito.
Gli studiosi hanno riscontrato che, sebbene le variazioni del grasso viscerale e della massa magra si siano dimostrate predittori più efficaci dell'outcome composito, anche le variazioni dell'IMC erano predittive. La loro conclusione è che, se non è possibile effettuare una scansione DEXA, l'IMC e le sue eventuali variazioni sono indicatori affidabili per stimare il rischio di diabete e sindrome metabolica.
Lo studio tuttavia non riporta dati circa l'etnia dei partecipanti né analizza le variazioni di peso e composizione corporea in base all'etnia: dunque non è chiaro se questi risultati siano applicabili in tutti i contesti.