Un vaccino e PEP con doxiciclina riducono entrambi il rischio di gonorrea
I risultati di DOXYVAC sono stati presentati alla 30° Conferenza su Retrovirus e Infezioni Opportunistiche (CROI 2023) in corso questa settimana a Seattle, negli Stati Uniti.
Lo studio ha parallelamente indagato l'efficacia della doxiciclina assunta per la profilassi post-esposizione (‘doxyPEP’) contro le infezioni batteriche sessualmente trasmissibili (IST). L’antibiotico non solo ha abbattuto i tassi di clamidia e sifilide rispettivamente dell'88% e dell'87%, ma ha anche "inaspettatamente" ridotto del 51% il tasso di gonorrea, indipendentemente dall'effetto del vaccino.
Il vaccino impiegato nello studio è 4CmenB, un vaccino contro la meningite da meningococco B commercializzato con il nome di Bexsero, che era noto per avere anche una modesta efficacia contro la gonorrea. I partecipanti sono stati randomizzati per ricevere solo il vaccino, solo la doxiciclina, entrambi i farmaci o nessuno dei due. Tutti i partecipanti contemporaneamente assumevano la PrEP per l’HIV, farmaci che vengono presi regolarmente allo scopo di prevenire l'infezione.
Dei 502 individui i cui dati erano disponibili per l'analisi, 332 hanno ricevuto la doxyPEP e 170 no; 257 hanno ricevuto il vaccino e 245 no. Tutti i partecipanti erano maschi cisgender omo- e bisessuali di età media di 39 anni, per l'80% bianchi e per l'85% nati in Francia.
Tra i partecipanti si osservavano tassi basali molto elevati di IST, definite come infezioni diagnosticate nell'ultimo anno: il 68% aveva contratto la gonorrea, il 50% la clamidia e il 20% la sifilide. I partecipanti avevano avuto in media 10 partner sessuali negli ultimi tre mesi, con una media di cinque rapporti non protetti da preservativo nell'ultimo mese. L’11% dei partecipanti hanno riferito inoltre di aver assunto sostanze psicoattive per aumentare performance e piacere sessuale (c.d. chemsex) l'ultima volta che avevano avuto un rapporto.
Lo studio è stato interrotto anticipatamente quando l’analisi dei dati ha dimostrato che i risultati erano già conclusivi.
Per quanto riguarda i risultati ottenuti dalla doxyPEP, nell’arco di un anno si sono verificati 36 eventi di infezione da sifilide e/o clamidia tra i partecipanti che non la assumevano, contro solo 13 tra quelli che invece la assumevano. Si tratta però di cifre che sottostimano la vera differenza, dato che gli uomini che assumevano la PEP erano il doppio di quelli che non la assumevano, e dato che alcuni di loro hanno contratto infezioni multiple.
La PEP ha mostrato un'efficacia del 79% contro la sifilide e dell'89% contro la clamidia, mentre più contenuta (51%) è risultata quella contro la gonorrea.
Si sono evidenziati alcuni casi di acquisizione di farmacoresistenza, ma sempre di basso livello, e mai tale da pregiudicare l’efficacia della doxiciclina; non si sono invece osservati casi di farmacoresistenza di alto livello.
Passando invece i risultati ottenuti dal vaccino, su un totale di 49 partecipanti che hanno contratto la gonorrea per la prima volta, 32 non lo assumevano e 17 sì, per un’incidenza annuale del 19,7% in chi non era protetto dal vaccino e del 9,8% per chi invece lo aveva assunto. Il che si traduce in un’efficacia del 51%, dunque per coincidenza esattamente la stessa della doxyPEP.
"È il primo vaccino a mostrare una qualche efficacia contro un'infezione batterica a trasmissione sessuale", ha detto ad aidsmap.com il ricercatore a capo dello studio, il prof. Jean-Michel Molina dell'Università di Parigi. Lo studioso tuttavia non si aspetta che le linee guida raccomandino questa vaccinazione sulla base dei risultati di un solo studio, in particolare perché il vaccino utilizzato è costoso. "Dobbiamo ancora stabilire quanto a lungo dura la protezione”, ha spiegato, “e se e quando potrebbe essere necessaria la somministrazione di una dose di richiamo."
La PEP con doxiciclina sembrerebbe inefficace nelle donne cisgender
Il regime prevede l’assunzione di 200mg dell’antibiotico doxiciclina entro le 72 ore successive a un rapporto non protetto da preservativo. Oltre allo studio DOXYVAC di cui si riferiva più sopra, l’efficacia della doxyPEP era corroborata anche da uno studio presentato l’estate scorsa, condotto su MSM (uomini che hanno rapporti sessuali con altri uomini) e donne transgender negli Stati Uniti, nel quale la doxiciclina si era mostrata in grado di ridurre di oltre il 60% a trimestre la quantità di nuove infezioni batteriche a trasmissione sessuale (clamidia, gonorrea e sifilide).
L’efficacia della doxyPEP non era però ancora stata testata sulle donne cisgender. A farlo è stato uno studio denominato dPEP, condotto su un campione di giovani donne a Kismu, una città situata in un’area del Kenya con alti tassi di IST ed elevata prevalenza di gonorrea farmacoresistente.
La sperimentazione, condotta tra il 2020 e il 2022, ha coinvolto 449 donne cisgender di età compresa tra i 18 e i 30 anni che assumevano la PrEP contro l’HIV e non erano in stato di gravidanza. Le partecipanti sono state randomizzate in due bracci, uno in cui assumevano la doxiciclina dopo i rapporti sessuali e l’altro in cui ricevevano solo le cure standard (test per le IST ogni tre mesi e trattamento dopo la diagnosi). Ogni settimana, le donne ricevevano messaggi di testo con la richiesta di fornire informazioni sulla frequenza con cui avevano avuto rapporti e avevano assunto la doxiciclina, e ogni tre mesi eseguivano il test per le IST.
Circa il 60% delle partecipanti assumeva contraccettivi ormonali, e il 37% ha riferito di aver intrattenuto rapporti sessuali di natura transazionale. Al basale, il 18% presentava una IST batterica: circa il 14% la clamidia, circa il 4% la gonorrea e meno dell'1% la sifilide.
I tassi di IST durante lo studio sono risultati elevati. L'incidenza annuale è stata del 27%, paragonabile ai tassi osservati tra gli MSM nei paesi ad alto reddito. L’assunzione della doxiciclina non ha però ridotto significativamente il rischio di IST per le partecipanti. Si sono infatti verificati 50 nuovi eventi di infezione nel braccio della doxiciclina e 59 nel braccio di controllo, una differenza che non raggiungeva la significatività statistica.
Secondo la dott.ssa Jenell Stewart dell'Hennepin Healthcare Research Institute di Minneapolis, che ha presentato lo studio a CROI, possono esserci diverse spiegazioni per il "netto contrasto" tra questi risultati e quelli dello studio della scorsa estate: differenze anatomiche, variazioni nella resistenza agli antibiotici nelle aree in cui sono stati condotti gli studi, aderenza subottimale. Sebbene non sia mai stato segnalato nessun caso al mondo di clamidia antibiotico-resistente, la gonorrea resistente alla doxiciclina è risultata molto diffusa tra le partecipanti allo studio.
La dott.ssa Stewart ha anche ipotizzato che la differenza tra tessuto endocervicale e i tessuti dell’uretra, del retto e della gola possa incidere in termini di livelli di farmaco. Tuttavia, stando a quanto emerso da un altro studio presentato nella stessa sessione, questa non sembrerebbe una spiegazione soddisfacente.
Il dott. Richard Haaland dei Centri per il Controllo e la Prevenzione delle Malattie (CDC) degli Stati Uniti ha infatti condotto un'analisi farmacocinetica delle concentrazioni di doxiciclina nei siti di esposizione alle IST confrontando uomini e donne. I partecipanti hanno fornito campioni ematici e tamponi delle membrane mucose fino a sette giorni dopo aver assunto una dose di 200 mg di doxiciclina per via orale.
Le concentrazioni di doxiciclina raggiungevano il picco più velocemente nelle secrezioni vaginali rispetto alle secrezioni rettali, ma non si sono osservate differenze nei livelli ematici tra uomini e donne. Le concentrazioni di doxiciclina nel tessuto rettale, vaginale e cervicale rimanevano ben al di sopra dei livelli minimi necessari per inibire clamidia e sifilide per tre o quattro giorni, ma per la gonorrea i giorni si riducevano a due.
Studio sulla doxyPEP rileva una limitata diffusione di gonorrea farmacoresistente
L'impiego dell'antibiotico doxiciclina per la prevenzione delle infezioni sessualmente trasmissibili (IST) di origine batterica gonorrea, clamidia e sifilide (doxyPEP) ha suscitato il timore che possa favorire la diffusione di ceppi farmacoresistenti, specialmente nel caso del batterio che causa la gonorrea.
Tuttavia, l’analisi dei casi di farmacoresistenza osservati tra i partecipanti dello studio statunitense sulla doxyPEP di lo scorso anno sono stati presentati i risultati principali mostra che sì, in effetti la resistenza alla doxiciclina e ad altri farmaci della sua classe non è rara, ma sono stati osservati solo aumenti contenuti della percentuale di infezioni da gonorrea che mostrano una resistenza significativa e c’era ben poca differenza nei tassi di resistenza tra chi assumeva doxyPEP e chi no.
Nello studio, l’assunzione di doxiciclina ha mostrato di ridurre il tasso a cui uomini omo- e bisessuali e donne transgender acquisivano infezioni sessualmente trasmissibili di origine batterica in un qualsiasi periodo di tre mesi. L'efficacia contro la clamidia è risultata dell'88% e contro la sifilide dell'87% nei partecipanti HIV-negativi e del 77% e 74% in quelli con HIV.
L'efficacia contro la gonorrea, invece, era solo del 55% nelle persone HIV-negative, e saliva di poco (57%) in quelle con HIV. L’ipotesi era che ciò potesse essere dovuto alla farmacoresistenza – già presente nei ceppi di gonorrea circolanti o appunto sviluppata a causa dell’assunzione della PEP.
La prof.ssa Annie Luetkemeyer dell’equipe che ha condotto questo studio ha detto a CROI 2023 che si temeva anche che l'uso di antibiotici per la PEP potesse causare resistenza in altri batteri correlati. La studiosa e i suoi collaboratori hanno dunque testato il batterio della gonorrea Neisseria gonorrhoeae, il batterio Staphylococcus aureus e la sua variante multiresistente MRSA, e altri batteri non patogeni del genere Neisseria normalmente presenti nella gola, per verificare se si trovassero evidenze di farmacoresistenza.
Solo una limitata quantità di campioni è stato coltivato con successo, il che limita la significatività statistica dei risultati. Quattro dei campioni basali di gonorrea mostravano resistenza alla doxiciclina. Durante il follow-up, sono stati individuati due campioni con resistenza in persone a cui non era stata somministrata la PEP e sei in persone che invece la assumevano. Sebbene non si trattasse di una differenza statisticamente significativa, questo poteva effettivamente indicare che la resistenza iniziava ad aumentare man mano che le persone assumevano la PEP.
Con lo Staphylococcus aureus, la percentuale di persone in cui è stato individuato nel naso e nella gola diminuiva dal 44% al basale al 30% delle persone in PEP. Si è tuttavia osservato un aumento significativo della percentuale di campioni di S. aureus farmacoresistente nelle persone che assumevano la PEP – dal 5% al 13%.
"In questo sottogruppo di partecipanti che assumevano doxyPEP che mostravano resistenza antimicrobica, non abbiamo osservato un marcato aumento della resistenza alla doxiciclina", ha concluso la prof.ssa Luetkemeyer. Tuttavia, è necessario un monitoraggio a lungo termine delle persone che assumono la doxyPEP, anche in gruppi più ampi di popolazione, per valutare entità e importanza del fenomeno della farmacoresistenza nella gonorrea.
Paziente tedesco in remissione dall’HIV da quasi 10 anni dopo trapianto di staminali
Un uomo di Düsseldorf, in Germania, che ha ricevuto un trapianto di cellule staminali da un donatore con una mutazione resistente all’HIV quasi dieci anni fa e, oltre quattro anni fa, ha smesso di assumere la terapia antiretrovirale non mostra tracce rilevabili di HIV ed è stato dichiarato curato: è quanto si apprende da un rapporto pubblicato ieri.
L'uomo, di nome Marc, oggi 53enne, aveva ricevuto una diagnosi di leucemia mieloide acuta (un tumore del sangue potenzialmente letale) nel 2011, pochi mesi dopo aver iniziato la terapia antiretrovirale. Dopo la chemioterapia, nel febbraio 2013, ha ricevuto un trapianto di cellule staminali da un donatore non familiare che presentava due copie di una rara mutazione genetica nota come CCR5-delta32; questa mutazione elimina i recettori che la maggior parte dei ceppi di HIV usano per introdursi nei linfociti CD4. Di fatto, in questo modo, le cellule del donatore donano al ricevente un nuovo sistema immunitario resistente all'HIV.
Dopo oltre cinque anni in cui l'HIV si è mantenuto non rilevabile, insieme al suo team di medici l’uomo ha deciso di provare a sospendere il trattamento antiretrovirale, sotto stretto controllo medico, nel novembre 2018. Da allora, hanno testato il suo sangue usando strumenti ultrasensibili e hanno esaminato le sue cellule immunitarie periferiche e il tessuto intestinale e linfonodale, ma senza trovare tracce di HIV in grado di replicarsi.
Il "paziente di Düsseldorf" sembra dunque entrare a fare parte del novero delle cinque persone che sono riuscite ad eliminare l'HIV dopo il trapianto. I ricercatori stanno ancora lavorando per capire perché in questo caso dopo il trapianto di cellule staminali si è ottenuto questo successo, mentre altri tentativi sono falliti. Un poster al CROI disponibile oggi descriverà un caso di riattivazione dell'HIV dopo un trapianto di cellule staminali da un donatore con una doppia mutazione CCR5-delta32.
Anche se la ricerca riuscisse a trovare risposte a questi interrogativi, i trapianti di cellule staminali restano troppo rischiosi per chi non ne ha bisogno per curare un cancro potenzialmente letale, e la procedura è troppo costosa per pensare di poterla usare per i milioni di persone che vivono con l'HIV in tutto il mondo. Tuttavia, questi casi potrebbero offrire indizi utili per i ricercatori e portarli ad elaborare approcci applicabili su più ampia scala per ottenere una cura funzionale o una remissione a lungo termine senza bisogno di assumere antiretrovirali a vita.
I test POC al momento del parto migliorano il trattamento preventivo precoce per i neonati a rischio di HIV
Lo studio LIFE si prefiggeva di indagare se l’esecuzione del test della carica virale al POC subito dopo il parto portasse a una riduzione dei decessi e all’aumento della soppressione virale, rispetto alla pratica standard, che consiste nell’esecuzione del test per l'HIV circa sei settimane dopo la nascita.
Per lo studio sono stati arruolati 6605 neonati in 28 strutture sanitarie in Mozambico e Tanzania. Nel corso dello studio, è stato diagnosticato l'HIV a 124 bambini (1,9% dei partecipanti). In più della metà dei casi (51%) la diagnosi è stata fatta alla nascita, nel 32% entro le 6 settimane di età e nel 16% entro le 12 settimane di età.
La mortalità è risultata più alta nei neonati nel braccio di controllo (test a sei settimane). Il 14% dei bambini del braccio di controllo sono morti, dopo un periodo mediano di 14 settimane, contro il 5% nel braccio di intervento (test alla nascita), dopo un periodo mediano di 23 settimane.
Nel braccio di intervento, il rischio di morte è risultato inferiore del 67%, sebbene si tratti di un risultato statisticamente ai limiti della significatività. Il follow-up a lungo termine non ha evidenziato differenze significative a 12 o 18 mesi dopo la nascita, il che secondo i ricercatori dello studio potrebbe essere dovuto alla scarsa tolleranza di un trattamento con lopinavir / ritonavir granulato.
Lo studio ha anche dimostrato che eseguendo un test della carica virale delle madri al POC al momento del parto si individuassero più bambini contrassegnati come "ad alto rischio" di acquisizione dell'HIV. Una carica virale materna superiore a 1000 è uno dei criteri che portano a considerare un bambino "ad alto rischio". I neonati considerati ad alto rischio avevano anche maggiori probabilità di ricevere una migliore profilassi postnatale se le loro madri avevano ricevuto un test di carica virale al POC.