Nuovo promettente metodo di somministrazione della PrEP sottoposto al primo studio di sicurezza per il sesso anale
È quanto emerge da uno studio presentato alla 30° Conferenza su Retrovirus e Infezioni Opportunistiche (CROI 2023), che si è conclusa la scorsa settimana a Seattle, Stati Uniti.
La preparazione contiene 60mg di elvitegravir e 20mg di tenofovir alafenamide (TAF) e si assume inserendola nel canale vaginale o rettale, dove si dissolve nel giro di qualche ora. Si presenta come una supposta di un centimetro e mezzo di lunghezza e meno di un centimetro di diametro.
Gli autori dello studio hanno valutato sicurezza e farmacocinetica (livelli di farmaco) della somministrazione di una supposta indagandone gli effetti nelle 72 ore successive all'inserimento rettale, per poi ripetere l’indagine somministrando invece due supposte. Hanno partecipato alla sperimentazione 23 persone HIV-negative (17 uomini e 6 donne), di cui 21 hanno ricevuto la dose singola e 19 la dose doppia.
I ricercatori hanno misurato i livelli raggiunti dal farmaco in campioni di sangue, liquido rettale, liquido cervicovaginale (se applicabile) e tessuto rettale; sono stati misurati anche i livelli di tenofovir difosfato (TFV-dp, il componente attivo in cui si converte il TAF quando penetra in una cellula) all'interno di cellule dei tessuti rettali.
Il farmaco si è mantenuto a livelli sufficienti ad assicurare la protezione per oltre 24 ore e, nel caso del tenofovir, per oltre tre giorni. I livelli ematici del TAF sono diminuiti, ma quelli del TFV-dp sono rimasti pressoché invariati.
È stato osservato un solo effetto collaterale di grado 2 collegabile all’assunzione del farmaco: una lieve infiammazione anale, che si è presto risolta.
È il primo studio che valuta la sicurezza nell’essere umano della somministrazione rettale della supposta. La somministrazione vaginale era invece stata indagata in uno studio presentato nel 2021, che aveva dato risultati simili.
Un regime con lenacapavir più anticorpi ampiamente neutralizzanti potrebbe essere somministrato solo due volte l’anno
Il prof. Joseph Eron dell'Università della Carolina del Nord a Chapel Hill ha riferito alla Conferenza su uno studio in cui il 90% dei partecipanti che hanno ricevuto iniezioni di lenacapavir più infusioni dei bnAbs teropavimab e zinlirvimab avevano mantenuto la carica virale non rilevabile a distanza di sei mesi dall'interruzione della terapia antiretrovirale che assumevano precedentemente.
Il lenacapavir è un inibitore del capside dell'HIV che funziona in modo diverso rispetto ad altri farmaci anti-HIV, e per questo mantiene l’efficacia anche contro i ceppi di virus che hanno sviluppato resistenza ad altre classi di antiretrovirali. Nel 2022, infatti, è stato approvato negli Stati Uniti e in Europa per il trattamento di pazienti che avevano sperimentato fallimenti terapeutici a causa di un’infezione da HIV multiresistente. Ha una lunga emivita, il che significa che potrebbe essere assunto solo due volte l'anno; ma attualmente non esistono altri antiretrovirali che possono essere somministrati a intervalli di tempo così lunghi.
Il prof. Eron e i suoi collaboratori hanno sperimentato un regime costituito da lenacapavir più due bnAbs a somministrazione semestrale. Per lo studio sono stati arruolati 21 pazienti con infezione da HIV che assumevano la terapia antiretrovirale ed erano viralmente soppressi da almeno 18 mesi. Sui candidati è stato eseguito un test preliminare per verificare la sensibilità del loro ceppo HIV a entrambi gli anticorpi (metà dei potenziali partecipanti non sono risultati eleggibili a causa di una resistenza).
I partecipanti hanno ricevuto due dosi di carico di lenacapavir a somministrazione orale, due iniezioni sottocutanee di lenacapavir e un'infusione endovenosa di teropavimab (30mg/kg); sono poi stati randomizzati per assumere lo zinlirvimab in una dose di 10 mg/kg oppure di 30 mg/kg.
Alla 26° settimana, sia il lenacapavir che il teropavimab che lo zinlirvimab (a prescindere dal dosaggio) si sono mantenuti ben al di sopra dei livelli terapeutici e il 90% dei componenti di entrambi i bracci di studio ha mantenuto la soppressione virale. Un partecipante del braccio a dosaggio più elevato ha deciso che preferiva assumere la terapia per via orale e si è ritirato dalla sperimentazione; uno del braccio a basso dosaggio ha invece avuto un rebound virale ed è tornato al regime che assumeva prima. Le conte dei CD4 sono rimaste stabili in entrambi i bracci. Il trattamento è risultato sicuro e generalmente ben tollerato.
Nel corso di quest’anno sarà avviato uno studio clinico di fase II per verificare se il regime può continuare a mantenere soppressa la replicazione virale anche in intervalli di tempo più lunghi, con somministrazioni semestrali multiple.
L’adesione alla PrEP aumenta se si offrono agli utenti possibilità di scelta e flessibilità
Gli interventi che prevedono un’offerta più dinamica e personalizzata di PrEP e PEP dell’HIV portano ad aumenti sostanziali del numero di persone che aderiscono, hanno riferito a CROI 2023 gli autori di alcune sperimentazioni condotte in zone rurali di Kenya e Uganda. Si tratta di tre separati studi randomizzati e controllati condotti sul territorio (coinvolgendo operatori sanitari locali), in ambulatori ostetrici e in ambulatori ospedalieri: da tutti e tre è emerso che questo tipo di offerta apporta benefici notevoli.
Gli autori hanno preliminarmente condotto un’indagine qualitativa volta a identificare le barriere all’adesione ai programmi per la profilassi dell'HIV sulla base di cui hanno progettato il loro intervento, confrontandolo poi con l’offerta disponibile abitualmente.
L’intervento prevedeva che l’utente potesse scegliere il prodotto da usare per la prevenzione, il sito di erogazione e la modalità di esecuzione del test HIV; veniva inoltre offerta una fornitura di farmaci PrEP per tre mesi o pacchetti per iniziare la PEP, e ogni giorno erano disponibili consulti telefonici con operatori sanitari.
La valutazione dei risultati è stata condotta su campioni di circa 400 persone per ogni sito di sperimentazione: l'impatto dell'intervento è stato valutato misurando la copertura raggiunta, calcolando la percentuale di tempo in cui PEP o PrEP venivano assunte durante quasi un anno di follow-up in base a quanto riferito dai partecipanti.
Nello studio che prevedeva il coinvolgimento di operatori sanitari locali che offrivano i prodotti di prevenzione porta a porta, in assenza di intervento PrEP o PEP venivano assunte per lo 0,5% del tempo, percentuale che con l’intervento saliva al 28%. Negli ambulatori ostetrici la copertura è risultata rispettivamente del 29% e del 70%, e negli ambulatori ospedalieri del 18% e del 48%.
Si è osservato in tutti e tre gli studi che, con il passare del tempo, sempre più persone sceglievano l’autotest come metodo diagnostico. Nei due studi condotti in contesti ambulatoriali, invece, si è notato che durante il follow-up aumentava il numero di persone che si rivolgevano a centri attivi sul territorio per ottenere i farmaci, mentre nel primo studio quasi tutti hanno continuato per tutto il periodo a riceverli a domicilio.
Le infezioni da HIV acquisite mentre si assume PrEP iniettabile potrebbero passare a lungo inosservate
Gli ultimi dati dello studio HPTN 083 sul cabotegravir iniettabile in uomini omo- e bisessuali e donne transgender mostrano che sei persone (meno dello 0,3%) hanno acquisito l'infezione da HIV nonostante avessero livelli di farmaco apparentemente sufficienti a garantire protezione.
Il problema principale, con queste infezioni, è stabilire se si sono effettivamente verificate. Eshleman ha portato l’esempio di un partecipante a HPTN 083 che, dopo un primo esito positivo, nel corso delle successive 48 settimane si è sottoposto a ben 54 esami diagnostici utilizzando 6 diversi tipi di test, solo 15 dei quali hanno di nuovo dato esito positivo.
La studiosa ha coniato per questa sindrome il nome long-acting early viral inhibition o LEVI (inibizione virale precoce di lunga durata), e ha posto l’interrogativo di come dovrebbe essere affrontata da un punto di vista clinico.
Le persone interessate potrebbero non avere alcun malessere, le loro conte dei CD4 restano elevate e la carica virale è troppo bassa per essere infettiva. Tuttavia, nei casi di LEVI è diffuso lo sviluppo di farmacoresistenze. È stata per esempio osservata l’insorgenza di una resistenza agli inibitori dell'integrasi in 10 dei 18 casi di partecipanti a HPTN 083 per i quali l’intervallo tra l'ultima iniezione di cabotegravir e l'acquisizione dell’infezione da HIV era inferiore a sei mesi.
Una possibile soluzione sarebbe raccomandare un test dell'RNA come procedura standard per chi assume la PrEP iniettabile; però la LEVI è rara, e i test dell'RNA sono costosi. Eshleman ha detto che saranno introdotti i test dell'RNA per il resto della fase in aperto degli studi HPTN 083 e 084 sulla PrEP iniettabile, allo scopo di raccogliere dati sulla loro effettiva utilità.
Impianti sperimentali con islatravir prevengono l’infezione con un virus simil-HIV nei primati
Un team di ricercatori ha testato un impianto ricaricabile che potrebbe continuare a rilasciare il farmaco per diversi anni, e un altro team ha valutato un impianto biodegradabile. Entrambi i dispositivi si sono mostrati in grado di proteggere le femmine di macaco in cui erano stati impiantati dall'infezione vaginale con l’SHIV, un virus ibrido con componenti sia del virus umano sia del corrispondente dell’HIV per i primati. L’impianto ricaricabile ha anche mostrato di proteggere gli esemplari maschi dall'infezione per via rettale.
L'impianto ricaricabile è progettato per essere inserito sottopelle, ad esempio all'interno della parte superiore del braccio. Per ricaricarlo, viene inserito attraverso la pelle un ago che riempie l'impianto da un’apertura, mentre con un altro ago si preleva il liquido in eccesso da una seconda apertura.
Il prof. Alessandro Grattoni dello Houston Methodist Research Institute del Texas ha condotto con i suoi collaboratori uno studio di farmacocinetica su primati con impianti inseriti sotto la pelle della schiena, misurando le concentrazioni di farmaco nel tempo. I livelli si sono mantenuti per oltre 20 mesi al di sopra di quelli necessari per assicurare la protezione per la PrEP.
I ricercatori hanno poi ripetutamente esposto gli animali all’SHIV in basse quantità. Sei maschi sono stati sottoposti a 10 esposizioni rettali una volta alla settimana e sei femmine a 10 esposizioni vaginali. Nessuno degli esemplari con impianti di islatravir ha contratto l’SHIV, mentre nel gruppo di controllo si sono infettati tutti.
In un secondo studio, la dott.ssa Michele Daly dei Centri per il Controllo e la Prevenzione delle Malattie degli Stati Uniti ha valutato insieme ai suoi collaboratori gli impianti di islatravir in policaprolattone, un polimero biodegradabile. Daly ha osservato che potenzialmente si potrebbe combinare l’islatravir con un contraccettivo nello stesso impianto.
Sono stati impiantati due dispositivi in sei macachi femmina, sotto la pelle di ciascuna parte superiore del braccio. Dopo cinque settimane di monitoraggio farmacocinetico, gli animali sono stati esposti all’SHIV due volte alla settimana per sei settimane; dopodiché è stato rimosso uno degli impianti, gli animali sono stati monitorati per altre cinque settimane e poi di nuovo ripetutamente esposti all’SHIV.
Nessuno dei sei esemplari ha contratto l’SHIV mentre aveva due impianti, neanche dopo 12 esposizioni; dopo che uno dei due impianti è stato rimosso, invece, uno si è infettato.
Il destino di islatravir rimane però incerto, a causa del declino della conta linfocitaria totale e della conta dei CD4 osservata in alcuni dei soggetti studiati. Merck, la casa farmaceutica che produce l’islatravir, ha avviato altre sperimentazioni in cui si impiega una dose orale più bassa di islatravir e sta valutando il da farsi per quanto riguarda gli impianti.
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