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PrEP, per le donne potrebbe essere efficace anche una sola iniezione trimestrale | ||
I risultati sono stati presentati alla 30° Conferenza su Retrovirus e Infezioni Opportunistiche (CROI 2023) in corso questa settimana a Seattle, negli Stati Uniti. Il dott. Mark Marzinke della Johns Hopkins University ha analizzato i livelli farmacologici delle partecipanti a HPTN 084, uno studio sulla profilassi pre-esposizione (ossia l’assunzione regolare di farmaci atti a prevenire l’infezione da HIV), concentrandosi su quelle che saltavano un’iniezione e per le quali di conseguenza trascorrevano intervalli più lunghi tra le somministrazioni. Le prime due iniezioni erano programmate a quattro settimane di distanza l’una dall’altra per far raggiungere al farmaco un certo livello di concentrazione; le successive venivano poi somministrate ogni otto settimane. I casi di iniezioni non effettuate nei tempi previsti sono stati 224. Marzinke ha considerato i livelli di farmaco misurati immediatamente prima della successiva iniezione somministrata in ritardo, stratificandoli in: almeno otto volte superiori all’IC90 (livello sufficiente a ridurre la replicazione virale del 90%); tra le quattro e le otto volte superiori all’IC90; tra l’una e le quattro volte superiori all’IC90; e inferiori all’IC90. Tra le partecipanti che hanno ricevuto in ritardo la seconda iniezione, i livelli di farmaco rimanevano oltre otto volte superiori all’IC90 nel 91% dei casi e oltre quattro volte superiori nel 100% dei casi. In quelle che hanno invece ricevuto in ritardo le iniezioni successive, i livelli sono rimasti quattro volte al di sopra dell’IC90 nel 98% dei casi se il ritardo era di quattro/sei settimane; nel 95% se era di sei/otto settimane; e del 90% se era di otto/dieci settimane. Questi dati indicano che la stragrande maggioranza delle donne continuerebbe ad avere livelli sufficienti per prevenire l’infezione anche ritardando l’iniezione fino a sei settimane (quindi fino a 14 settimane dopo l’ultima somministrazione): il che fa pensare che potrebbe bastare una somministrazione ogni 12 settimane per garantire una protezione efficace. Poter prevedere le iniezioni di farmaci PrEP a cadenza trimestrale consentirebbe peraltro di far coincidere i tempi di somministrazione con quelli dei contraccettivi iniettabili. Marzinke ha sottolineato che con gli uomini non si sono invece avuti gli stessi risultati. Nello studio HPTN 083, i cui partecipanti erano per lo più di sesso maschile, i livelli di farmaco osservati nell’intervallo tra un’iniezione e l’altra sono risultati inferiori. | ||
I vaccini antivaiolo di prima, seconda e terza generazione proteggono anche dall’mpox | ||
Quando, nel 2022, il virus dell’mpox (nuova denominazione del vaiolo delle scimmie) ha iniziato a propagarsi rapidamente in paesi in cui non era endemico, la vaccinazione contro il vaiolo era ampiamente raccomandata non solo per ridurre al minimo i sintomi della malattia, ma anche a scopo preventivo. Al tempo mancavano però dati su quanto il vaccino antivaiolo avrebbe potuto essere efficace contro l’mpox. Due studi provenienti da Francia e Stati Uniti e presentati a CROI 2023 hanno però dato risultati che possono contribuire a colmare questa mancanza. Quando è stato segnalato il primo caso di mpox in Francia, il dott. Dr Jade Ghosn dell’Università Paris-Cité e il suo team stavano conducendo il trial clinico DOXYVAC su una coorte di maschi omo- e bisessuali che ricevevano la PrEP e che avevano recentemente contratto un’infezione sessualmente trasmessa: una popolazione con maggiori probabilità di contrarre l’mpox. L’11 luglio 2022, le autorità francesi hanno lanciato una campagna per incoraggiare gli uomini omo- e bisessuali che intrattenevano relazioni con più di un partner sessuale ad aderire alla vaccinazione con un antivaiolo di terza generazione denominato MVA-BN (commercializzato come Imvanex in Europa e Jynneos negli Stati Uniti). Le strutture cliniche che aderivano al trial DOXYVAC l’hanno offerto ai partecipanti, e un'alta percentuale (87%) ha accettato di vaccinarsi. Tra i 77 partecipanti che hanno contratto l’infezione da mpox, 61 casi si sono verificati prima della campagna vaccinale di luglio, contro solo 16 dopo. Confrontando i rapporti dei tassi di incidenza con quelli degli uomini che non si erano vaccinati, il vaccino mostrava un’efficacia preventiva contro l’mpox del 99%. La dott.ssa Boghuma Titanji della Emory University ha messo invece a confronto l'efficacia contro l’infezione da mpox dei vaccini di prima (Dryvax) o di seconda generazione (ACAM2000), conducendo un'analisi retrospettiva su dati sanitari di militari statunitensi. La studiosa e i suoi collaboratori hanno individuato 1007 persone che hanno eseguito il test per il rilevamento del virus mpox in un arco temporale di quattro mesi durante il periodo dell’epidemia. Le forze militari americane avevano vaccinato il personale contro il vaiolo tra il 2002 e il 2017, e nella coorte c’erano 208 individui che avevano ricevuto il Dryvax o l’ACAM2000. Quasi 300 persone (30%) sono risultate positive all'mpox. Confrontando i tassi di incidenza dei vaccinati con quelli dei non vaccinati, è emerso che il Dryvax aveva un’efficacia preventiva contro l’mpox del 66%, mentre l'ACAM2000 arrivava al 72%. Titanji ha concluso il suo intervento osservando che questi vecchi vaccini offrono, sì, una qualche protezione contro l’mpox, ma “non assoluta”. Sono inoltre necessari ulteriori studi per valutare l’impatto di eventuali richiami. | ||
Il dolutegravir più darunavir risulta superiore rispetto a una combinazione di tre farmaci con darunavir nel trattamento di seconda linea | ||
Le attuali linee guida dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) raccomandano, in caso di fallimento terapeutico con un regime di prima linea che non comprende il dolutegravir, il trattamento di seconda linea con un regime a base di dolutegravir con un backbone di inibitori nucleotidici della trascrittasi inversa (NRTI), scelti idealmente sulla base dei risultati dei test di farmacoresistenza. In passato, l’OMS raccomandava in questi casi di associare ai due NRTI un inibitore della proteasi potenziato. Il preferito nelle linee guida europee e statunitensi è il darunavir potenziato con ritonavir per via della sua elevata barriera alle resistenze. Lo studio D2EFT ha messo a confronto i regimi con darunavir/ritonavir più due NRTI con una nuova combinazione: darunavir/ritonavir con l'inibitore dell'integrasi dolutegravir. Con questo regime non sarebbe più necessario eseguire il test di farmacoresistenza e si potrebbe evitare anche l'impiego dell’NRTI zidovudina, che non è ben tollerata. Dopo l’inizio dell’arruolamento per lo studio è stato aggiunto un terzo braccio trattato con dolutegravir e riciclo del backbone tenofovir-emtricitabina/lamivudina (TDF/XTC), a seguito di studi secondo cui il riciclo di NRTI potrebbe dimostrarsi efficace. Per lo studio sono state arruolate 831 persone in 14 paesi a basso e medio reddito in Africa, Asia e America Latina. I partecipanti erano tutti pazienti con infezione da HIV avanzata: la conta mediana dei CD4 era di 206 e la carica virale mediana era di 15.000. Nei due gruppi originari, alla 48° settimana, il 75% delle persone trattate con darunavir/ritonavir più due NRTI aveva carica virale inferiore a 50, mentre nel braccio darunavir/ritonavir più dolutegravir si arrivava all'84%. Tra i partecipanti arruolati dopo l'aggiunta del terzo braccio di studio, la carica virale era scesa sotto 50 nel 71% dei pazienti che assumevano darunavir/ritonavir più due NRTI, contro l'84% nel braccio darunavir/ritonavir più dolutegravir e il 78% nel braccio dolutegravir più TDF/XTC. Malgrado la combinazione dolutegravir più darunavir/ritonavir si sia mostrata superiore rispetto allo standard di cura, resta un’opzione più costosa della combinazione dolutegravir più TDF/XTC, hanno detto gli autori dello studio. Poiché attualmente le filiere farmaceutiche riescono a garantire la disponibilità di dolutegravir più TDF/XTC per il trattamento di prima linea nei contesti a basso e medio reddito, è probabile che nei programmi di trattamento si preferisca prescrivere questa opzione dopo un fallimento del trattamento di prima linea con NNRTI. | ||
Nelle zone rurali dell’Uganda passarsi i farmaci per l’HIV è pratica diffusa | ||
Gli autori volevano capire quante persone avessero passato ad altri, regalato, comprato o venduto farmaci per l'HIV, a/da chi lo avessero fatto, e se questa pratica potesse avere una qualche associazione con la soppressione virale. Hanno perciò inserito domande in merito all’interno dei questionari somministrati tra il 2018 e il 2020 nell’ambito del Rakai Community Cohort Study, un’indagine longitudinale di tutti adulti di una quarantina di comunità nell'Uganda centro-meridionale di età compresa tra 15 e 49 anni che hanno acconsentito a partecipare. Delle 20.000 persone circa che hanno compilato il questionario, 2852 hanno riferito di assumere la ART e sono dunque state incluse nel campione di studio. Tra queste, 266 (il 9,3%) hanno riferito di avere almeno una volta dato ad altri, ricevuto o (in alcuni casi) comprato i farmaci antiretrovirali. Nessuno ha invece riferito di averli venduti. La maggior parte dei partecipanti che ha ammesso la pratica ha detto di aver sia ceduto i farmaci ad altri che averli ricevuti. Gli scambi erano quasi sempre con persone molto vicine ai partecipanti: amici, coniugi e partner sessuali. I ricercatori sono ricorsi a un’analisi della regressione per stimare se questa pratica potesse collegarsi alla mancata soppressione virale (carica superiore a 40). Chi aveva ceduto gli antiretrovirali ad altri senza mai averne ricevuti aveva probabilità doppie di non essere viralmente soppresso rispetto a chi non aveva mai scambiato farmaci; chi invece aveva riferito soltanto di aver ricevuto i farmaci da altri aveva maggiori probabilità di essere viralmente soppresso, ma la differenza non è risultata statisticamente significativa. Lo studio non chiarisce le ragioni per cui ci si scambiano i farmaci. Secondo le informazioni puramente aneddotiche che si possono ottenere dai media e dagli attivisti di paesi come il Sudafrica e il Mozambico, si tratterebbe di una modalità relativamente diffusa di far fronte a problemi di approvvigionamento dei farmaci, specialmente tra i migranti che non hanno facile accesso all'assistenza sanitaria e in luoghi dove è più facile che si esauriscano le scorte. | ||
Lo switch a cabotegravir e rilpivirina iniettabili influisce raramente sul peso corporeo | ||
Anche tra i partecipanti trattati fino al momento dello switch con un regime contenente tenofovir alafenamide (TAF) – un farmaco fortemente associato all'aumento ponderale se combinato con un inibitore dell'integrasi – pochi sono andati incontro a sostanziali perdite di peso. I pazienti che assumevano un trattamento di prima linea contenente inibitori dell’integrasi risultano più soggetti all’aumento di peso rispetto a chi è trattato con regimi che ne sono privi. Alcuni studi hanno dimostrato che assumendo dolutegravir e bictegravir si tende ad aumentare di più di peso che assumendo elvitegravir. Il cabotegravir è un nuovo inibitore dell'integrasi che fa parte, insieme all’NNRTI rilpivirina, di un regime iniettabile a lunga durata d'azione a somministrazione bimestrale. Lo studio SOLAR ha raffrontato i dati relativi a pazienti che hanno continuato ad assumere il trattamento con Biktarvy (bictegravir più tenofovir alafenamide ed emtricitabina) con quelli di pazienti passati al regime iniettabile con cabotegravir e rilpivirina. I 687 partecipanti allo studio avevano un'età mediana di 37 anni, erano per il 17% donne, per il 21% neri e per il 69% bianchi. Il peso mediano al momento della randomizzazione era di 81,3 kg nel braccio trattato con il regime iniettabile e di 79 kg nel braccio del bictegravir. Il peso corporeo è stato misurato all’11° o il 12° mese, con poche variazioni in entrambi i bracci di studio (la variazione mediana è stata di -0,4 kg nel braccio del regime iniettabile e di +0,05 kg nel braccio del bictegravir). All'interno dei due bracci si sono osservate percentuali simili di pazienti che hanno subito un aumento o una perdita di peso. Al basale, il 17% dei partecipanti presentava una sindrome metabolica; al 12° mese non si registrava alcuna variazione nella percentuale di partecipanti con sindrome metabolica in nessuno dei due bracci. È invece aumentata lievemente la percentuale di partecipanti con insulino-resistenza nel braccio del regime iniettabile, passando dal 42% al 45%, mentre non si sono osservate variazioni nel braccio del bictegravir. | ||
Il regime a lunga durata d'azione con cabotegravir e rilpivirina è un’opzione praticabile per i pazienti viralmente non soppressi | ||
Sia l'Agenzia Europea per i Medicinali che la Food and Drug Administration degli Stati Uniti hanno finora approvato questo regime solo in caso di pazienti che assumono stabilmente i farmaci antiretrovirali per via orale e che hanno ottenuto la soppressione virale. La prof.ssa Monica Gandhi, direttrice medica del Ward 86 (un centro dello Zuckerberg San Francisco General Hospital specializzato nell’assistenza per l’HIV), ha riferito sui risultati ottenuti con 133 persone che hanno iniziato la terapia con cabotegravir e rilpivirina a lunga durata d'azione tra il giugno 2021 e il novembre 2022. Ai partecipanti non era richiesto di essere viralmente soppressi al basale né di far precedere il trattamento da una fase di induzione orale. I partecipanti erano per lo più di sesso maschile (88%); l’8% erano donne cisgender e il 4% donne transgender. Solo un terzo aveva un alloggio stabile, la maggioranza riferiva di fare uso attivo di sostanze e il 38% aveva una malattia mentale grave. Al basale, 76 partecipanti erano già viralmente soppressi con un regime orale; di questi, tutti hanno mantenuto la soppressione virale dopo lo switch al regime iniettabile. Degli altri 57 che invece avevano carica virale HIV rilevabile al basale, la maggioranza non aveva mai raggiunto la soppressione virale con la terapia orale. Dopo lo switch, invece, ci sono riusciti in 55. Ward 86 offre assistenza medica ad ampio raggio, coordinamento delle varie fasi del percorso di cura, follow-up per chi salta gli appuntamenti e in alcuni casi servizi infermieristici in unità di strada. Durante il dibattito che ha fatto seguito alla presentazione, è stato obiettato che questo approccio potrebbe non essere altrettanto valido per persone che non hanno accesso a un’assistenza così intensiva. "Abbiamo bisogno di soluzioni innovative per questa popolazione, se vogliamo porre fine all'epidemia di HIV", ha ribattuto la prof.ssa Gandhi. "Con un po’ di creatività e coraggio, il regime antiretrovirale a lunga durata d'azione potrebbe davvero dare una svolta". | ||
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Traduzione di LILA Onlus – Lega Italiana per la Lotta contro l’AIDS | ||
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