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Gli interventi mirati sugli adolescenti migliorano la soppressione virale | ||
I risultati di queste sperimentazioni sono stati presentati all’11° Conferenza dell’International AIDS Society sulla ricerca in materia di HIV (IAS 2021). In tutta la regione dell'Africa subsahariana è in cura solo il 43% circa degli adolescenti con infezione da HIV. In Namibia, 25 strutture terapeutiche hanno preso parte a uno sforzo collaborativo per aumentare la soppressione virale negli adolescenti e nei giovani, con interventi attuati tra agosto 2018 e dicembre 2020. Tra le strategie sperimentate si annoverano: l'adozione di un registro per monitorare i pazienti che non avevano raggiunto la soppressione virale (in tutti i siti); il rafforzamento dei servizi di counselling a sostegno dell’aderenza terapeutica (80% dei siti); la terapia direttamente osservata, ovvero l’assunzione dei farmaci sotto osservazione diretta (52%); l’uso di portapillole (32%); la creazione di gruppi di sostegno per l’aderenza rivolti ad adolescenti o il rafforzamento di quelli già esistenti (64%); e la garanzia di un tempestivo cambiamento del regime antiretrovirale, se necessario (in tutti i siti). All’inizio dello studio erano in soppressione virale 407 adolescenti e giovani (44%): il dato è salito a 719 (74%) alla fine del 2020. In Nigeria sono state coinvolte 33 strutture sanitarie, che nel 2020 hanno partecipato alla sperimentazione di una serie di strategie tra cui si possono citare attività di case management specificamente pensate per l’adolescenza, supporto tra pari, interventi comportamentali mirati a mitigare i problemi di aderenza e l’offerta di ricompense specificamente pensate per giovani nella fascia d’età di interesse. Inoltre, 66 adolescenti e giovani sono stati formati per fornire supporto per l'aderenza, offrire assistenza ai nuovi pazienti e fare da mentori ai coetanei. Alla fine del periodo di intervento, la soppressione virale è risultata significativamente aumentata per tutte le fasce d'età. A settembre 2020 sono stati registrati tassi dell'82% tra i 10 e i 14 anni (un aumento di 15 punti percentuali), dell'83% tra i 15 e i 19 anni (un aumento di 31 punti percentuali) e all'85% tra i 20 e i 24 anni (un aumento di 17 punti percentuali). | ||
Flessibilità, assistenza di persona e incentivi per i senzatetto HIV-positivi | ||
Le persone senza fissa dimora o comunque in condizioni di precarietà abitativa coinvolte in uno studio presentato a IAS 2021 hanno espresso preferenze diverse sulle modalità con cui fruire dell’assistenza per l'HIV: la maggioranza mette al primo posto la flessibilità, mentre per circa un terzo degli intervistati è importante vedere costantemente lo stesso operatore sanitario. La telemedicina, adottata in molte strutture sanitarie a causa del COVID-19, non è invece risultata un'opzione apprezzata. A San Francisco i dati sulle persone con HIV sono complessivamente soddisfacenti, se si pensa che il 75% della popolazione HIV-positiva della città ha una carica virale non rilevabile; il dato scende però al 39% tra le persone senza fissa dimora. Un team di ricercatori dell'Università della California, San Francisco – che già in passato aveva affrontato il tema di un approccio alla cura centrato sui bisogni della singola persona per questo gruppo di popolazione – ha valutato in questo studio una gamma di possibili strategie per migliorarne il coinvolgimento nel percorso di cura. Tra luglio e novembre 2020 i ricercatori hanno condotto un sondaggio su 115 partecipanti. Quattro su 10 hanno riferito di aver recentemente vissuto all'addiaccio, oltre la metà ha detto di aver perso il telefono o averne subito il furto, e sempre oltre la metà ha dichiarato di consumare ogni giorno metanfetamina. I ricercatori hanno identificato diverse preferenze tra i partecipanti all'indagine rispetto alle modalità con cui ricevere le cure per l’HIV. Mentre il 68% è favorevole all'assistenza flessibile, il 32% preferisce vedere sempre lo stesso operatore sanitario. Gli intervistati hanno inoltre espresso una spiccata preferenza per le visite non programmate rispetto agli appuntamenti prefissati e per l’assistenza di persona piuttosto che consulti offerti in videoconferenza o al telefono. Tutti gli intervistati si sono inoltre detti favorevoli a ricevere incentivi per presentarsi alle cure, ad esempio dei buoni spesa. | ||
Farmaco da iniettare due volte l’anno dà risultati promettenti per il trattamento di prima linea dell’HIV | ||
Stando ai primi risultati di un piccolo studio presentato a IAS 2021, il lenacapavir – un inibitore sperimentale del capside dell’HIV – potrebbe essere impiegato all’interno di un regime combinato in persone che iniziano per la prima volta la terapia antiretrovirale, con due sole iniezioni all’anno. Il prof. Samir Gupta dell'Università dell'Indiana ha presentato i risultati su efficacia e sicurezza del farmaco relativi alle prime 28 settimane. Per lo studio sono state arruolate 182 persone che iniziavano la terapia per la prima volta, con conte dei CD4 superiori a 200. All'inizio dello studio, il 15% dei partecipanti aveva una carica virale superiore a 100.000. L'età media era di 29 anni; il 7% erano donne e il 52% erano neri. I partecipanti sono stati divisi in quattro bracci. Un braccio di controllo composto da 25 partecipanti ha assunto quotidianamente bictegravir per via orale ed emtricitabina/tenofovir alafenamide (Descovy). Un secondo braccio, composto da 52 persone, ha assunto lenacapavir per via orale e Descovy. I partecipanti degli altri due bracci hanno assunto lenacapavir e Descovy per due settimane e poi hanno ricevuto le iniezioni sottocutanee di lenacapavir nell’addome. Alla 28° settimana, se avevano ottenuto l’abbassamento della carica virale al di sotto delle 50 copie sono stati fatti passare o a lenacapavir più il solo tenofovir alafenamide (52 persone) o a lenacapavir più bictegravir (53 persone). Alla 28° settimana, tutte le 25 persone del braccio di controllo avevano una carica virale inferiore a 50 copie. Tra i partecipanti a cui era stato somministrato il lenacapavir (per via orale o iniettiva), dieci avevano livelli ancora rilevabili, il che significa che il tasso complessivo di soppressione virale è stato del 94%. Va però considerato che otto partecipanti non hanno presentato i risultati del test della carica virale e un altro ha abbandonato lo studio al secondo giorno. Gupta ha commentato che se venisse fuori che i partecipanti per i quali mancano i dati virologici avessero in realtà ottenuto la soppressione virale, le iniezioni di lenacapavir si sarebbero dimostrate efficaci addirittura al 99%. Non sono stati segnalati gravi effetti collaterali. Quello più comune è stato gonfiore, arrossamento o dolore nel sito di iniezione, e l'11% ha riferito la comparsa di noduli sottopelle nel sito di iniezione e/o indurimento della pelle. Gupta si è detto convinto che questi risultati giustifichino l’avvio di nuovi studi su un regime combinato con lenacapavir ed islatravir da somministrare unicamente per via iniettiva. I dettagli riguardanti uno studio separato che ha indagato la somministrazione di lenacapavir in pazienti con HIV multifarmacoresistente sono stati illustrati nel bollettino di ieri. | ||
Rischio cardiovascolare più elevato per le persone con HIV | ||
Le persone con infezione da HIV presentano più fattori di rischio cardiovascolare e sono esposte a maggior rischio di malattie cardiovascolari, è stato riferito a IAS 2021 questa settimana. E senza differenze per fascia d'età. Magari questi risultati non sorprenderanno, poiché l'aumento del rischio di malattie cardiovascolari e dei fattori di rischio associati nelle persone con HIV è già stato verificato in passato: tuttavia, molti degli studi a riguardo fanno riferimento agli Stati Uniti, una realtà diversa da altri paesi ad alto reddito sia per comportamenti in materia di salute che per accesso all’assistenza sanitaria, e la maggior parte risalgono a oltre dieci anni fa. Dei ricercatori dell'Università di Birmingham (Regno Unito) hanno dunque voluto quantificare il rischio di malattie cardiovascolari in persone HIV-positive che vivono nel Regno Unito, con particolare riferimento a ictus, infarto del miocardio, malattie vascolari periferiche, cardiopatia ischemica e insufficienza cardiaca. A questo scopo si sono serviti di una banca dati anonima di cartelle elettroniche di medici di base (assistenza primaria). Lo studio ha preso in considerazione il ventennio compreso tra il 2000 e il 2020, abbinando 9233 persone HIV-positive a 35.721 persone HIV-negative. L'età media degli individui coinvolti era di 41 anni, e un terzo erano donne. I gruppi erano sostanzialmente simili in termini di indice di massa corporea, percentuale di fumatori e presenza di comorbilità. Molti dei partecipanti HIV-positivi erano però neri o vivevano in quartieri svantaggiati. È emerso che le persone con infezione da HIV avevano un rischio aumentato del 54% di malattie cardiovascolari in generale; più in particolare, il rischio di ictus era superiore del 49% e quello di cardiopatia ischemica del 59%. Un'ulteriore analisi ha esaminato il rischio di malattie cardiovascolari in singoli sottogruppi, suddivisi in base a criteri come età, sesso e abitudine al fumo: è risultato che le persone affette da HIV sono esposte a un rischio più elevato di malattie cardiovascolari indipendentemente da altri criteri demografici. Presentando i risultati, Tiffany Gooden ha sottolineato la necessità di prevedere uno screening regolare per i fattori di rischio cardiovascolare e le malattie ad esso correlate tra i giovani con infezione da HIV e di istituire uno strumento di valutazione del rischio convalidato per le persone HIV-positive. | ||
PREP, poche le infezioni da HIV in Brasile e Messico, più critica la situazione del Perù | ||
Lo studio, denominato ImPrEP, è in corso dal 2018 in 24 città di Brasile, Perù e Messico. Sebbene il suo scopo principale sia valutare l’adesione ai programmi PrEP, l’aderenza terapeutica e l’impatto sull’incidenza HIV in uomini che fanno sesso con uomini (MSM) e donne trans, sono state condotte ulteriori analisi sui fattori predittivi di sieroconversione (acquisizione dell’infezione da HIV) e sugli ostacoli all'accesso alla PrEP. Ad aprile 2021 il totale dei partecipanti reclutati per lo studio era di 10.410 individui: 4165 in Brasile, 3360 in Messico e 2885 in Perù. Di questi, 84 hanno contratto l’infezione da HIV (incidenza complessiva dello 0,75%). L'incidenza è stata bassa in Brasile (0,31%) e Messico (0,44%). Quasi due terzi delle infezioni si sono verificate in Perù, dove l'incidenza è stata del 2,42%. Presentando i risultati, il prof. Carlos Cáceres dell'Universidad Peruana Cayetano Heredia ha formulato alcune ipotesi sulle ragioni alla base dell'elevato numero di infezioni in Perù, per esempio la percentuale più elevata di partecipanti in giovane età, il maggior numero di donne trans, livelli di istruzione più bassi, la minore aderenza terapeutica e una minore quantità di partecipanti che avevano fatto specifica richiesta della PrEP. Il professore ha anche spiegato che i siti peruviani tendono a servire principalmente sex worker di sesso femminile e MSM e donne trans economicamente svantaggiati rispetto ai siti in Brasile e Messico, che tendono invece a servire una più ampia gamma di popolazioni chiave. Uno studio secondario ha esaminato gli ostacoli e le criticità dell'aderenza terapeutica alla PrEP intervistando dieci MSM e quattro donne trans in Perù. Chi interrompeva l’assunzione dei farmaci tendeva anche ad avere più partner sessuali e una scarsa percezione del rischio HIV. Molti degli intervistati praticavano forme di commercio sessuale. Nonostante riferissero di non usarlo costantemente, i partecipanti hanno espresso una netta preferenza per il preservativo, perché offre protezione sia contro l’HIV che contro altre infezioni sessualmente trasmesse. Quanto alle criticità legate alla PrEP, sono state citate difficoltà causate dall’assunzione quotidiana dei farmaci, dall’uso combinato di diversi metodi di profilassi e dagli effetti collaterali. Un altro studio secondario ha invece evidenziato che la possibilità di assumere la PrEP on demand (cioè prendendo i farmaci prima e dopo un rapporto sessuale, anziché ogni giorno) era molto poco nota in tutti e tre i paesi. Dopo una breve spiegazione del suo funzionamento, circa un quarto dei partecipanti si è detto interessato a passare a questa modalità di assunzione. Chi invece ha dichiarato di preferire comunque l’assunzione quotidiana ha dichiarato di sentirsi a suo agio con questo tipo di regime oppure di essere preoccupato che l’assunzione on-demand possa essere difficoltosa o di provare troppa ansia per il rischio di contrarre l’HIV. | ||
Sentimenti contrastanti tra gli operatori sanitari verso i pazienti che abbandonano le cure | ||
Uno studio presentato a IAS 2021 ha esplorato il punto di vista degli operatori sanitari sui pazienti che interrompono la terapia antiretrovirale in Sudafrica. Dai risultati emerge che gli operatori sanitari nutrono per questi pazienti sentimenti contrastanti, che vanno dall'empatia alla rabbia. È ormai comprovato che gli atteggiamenti negativi da parte degli operatori sanitari hanno un impatto sull'aderenza al trattamento dell’HIV. Tuttavia, finora gli studi non si sono mai concentrati sul punto di vista degli operatori sanitari o sulla loro percezione del fenomeno dell’abbandono delle cure. In questo studio, i ricercatori hanno intervistato 30 operatori di un istituto per l’assistenza sanitaria di base a Khayelitsha, una township di Città del Capo. Tutti lavoravano in quel centro da almeno un anno e interagivano con pazienti che partecipavano a un programma pilota per il sostegno a persone che riprendevano il percorso di cura dopo averlo interrotto. Un primo elemento emerso dalle interviste è che l’abbandono rappresentava un problema per la salute non solo individuale ma anche pubblica, e meritava attenzione. Un secondo elemento è l'empatia per i pazienti, un atteggiamento comprensivo dettato dalla consapevolezza che l’interruzione delle terapie spesso è dovuta a fattori su cui il paziente non ha alcun controllo, per esempio un problema di salute mentale. Un ultimo elemento identificato è la rabbia: un risentimento dovuto all’aumento del carico di lavoro causato dalle gravi problematiche mediche e psicosociali delle persone che abbandonano il percorso di cura, ma anche dalla convinzione che questi pazienti non diano la giusta importanza alla salute. Gli autori dello studio auspicano che vengano attuati più interventi di formazione e supporto per aiutare gli operatori sanitari a navigare tra i sentimenti contrastanti che possono derivare dal lavorare con pazienti che interrompono le terapie per l'HIV. | ||
Analisi scientifica a cura di Clinical Care OptionsClinical Care Options, in qualità di partner ufficiale di IAS 2021 per l’analisi scientifica, offrirà sintesi degli studi presentati all’evento, presentazioni PowerPoint scaricabili, webinar con esperti e approfondimenti nella sezione ClinicalThought. Il 22 e 23 luglio, Clinical Care Options terrà tre webinar interattivi dal vivo per gli operatori sanitari che lavorano nel campo dell'HIV. La prof.ssa Chloe Orkin (Queen Mary University di Londra), il dott. Daniel R. Kuritzkes (Brigham and Women's Hospital, Boston) e la prof.ssa Babafemi Taiwo (Feinberg School of Medicine, Chicago) sintetizzeranno i contenuti di IAS e risponderanno alle domande dei partecipanti. | ||
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NAM's news coverage of IAS 2021 has been made possible thanks to support from Gilead Sciences Europe Ltd and ViiV Healthcare. |
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Traduzione di LILA Onlus – Lega Italiana per la Lotta contro l’AIDS | ||
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