Aumento di peso associato alle terapie HIV: quali spiegazioni?
Andrew Hill durante il suo intervento a EACS 2019. Immagine: @andreaantinori
In un’aula talmente gremita che restava posto solo in piedi, si è tenuta ieri alla 17° Conferenza Europea sull’AIDS dell’European AIDS Clinical Society (EACS 2019) in corso a Basilea, Svizzera, una sessione dedicata all’aumento di peso nei pazienti in terapia antiretrovirale.
Negli ultimi due anni è stata varie volte segnalata l’associazione tra aumento di peso e assunzione di dolutegravir, ma c’è ragione di credere che la questione interessi una gamma più ampia di antiretrovirali. Con le moderne terapie, l’aumento di peso si manifesta in un generale incremento del grasso, sia sottocutaneo che viscerale, che provoca un accumulo di adipe localizzato nella zona del girovita; è dunque un’altra cosa rispetto alla sindrome lipodistrofica (o lipodistrofia), ossia l’anomala ridistribuzione del grasso corporeo, che si osservava sempre in associazione agli antiretrovirali due decenni fa.
Il dott. Andrew Hill dell’Università di Liverpool, durante il suo intervento alla Conferenza, ha spiegato che l’aumento di peso a seguito dell’inizio delle terapie antiretrovirali è in parte un effetto del ‘ritorno in salute’ negli individui che prima del trattamento presentavano basse conte di CD4 e/o alti livelli di carica virale: allo stesso tempo, però, sembra effettivamente esserci una stretta correlazione con l’assunzione di determinati farmaci. Inoltre, parrebbero esserci effetti additivi con specifiche combinazioni farmacologiche.
L’aumento di peso più consistente risulta associato agli inibitori dell’integrasi dolutegravir e bictegravir. La vecchia formula del tenofovir (tenofovir disoproxil fumarato, o TDF) è stata invece regolarmente associata a un aumento di peso più contenuto rispetto a quello osservato con la nuova formula (tenofovir alafenamide, o TAF) o con l’abacavir. Si osserva infine aumento di peso anche in associazione all’NNRTI rilpivirina.
A complicare l’individuazione delle cause di questo fenomeno, gli aumenti più marcati si osservano nelle donne e negli individui di etnia nera, due categorie sottorappresentate nelle sperimentazioni cliniche dei nuovi farmaci. Tali discrepanze potrebbero trovare una spiegazione nel ruolo dei fattori genetici nel metabolismo dei farmaci. Sebbene ci siano studi che evidenziano un minor aumento di peso in pazienti che effettuano uno switch terapeutico a un regime comprendente un inibitore della proteasi, non si può escludere che la classe di farmaci sia un fattore rilevante, dato che in questi studi i pazienti uomini e di etnia bianca erano sovrarappresentati.
Se è vero che la formula TAF del tenofovir risulta associata a un rischio inferiore di fratture ossee e insufficienza renale rispetto alla vecchia formula TDF, ha fatto presente il dott. Hill, va considerato anche il contraltare rappresentato dall’aumentato rischio di obesità clinica osservato con il TAF, e il potenziale impatto in termini di malattie cardiovascolari, cancro, malattia di Alzheimer, esiti avversi in gravidanza e diabete.
Non solo aumento di peso: la sindrome metabolica
Michelle Moorhouse durante il suo intervento a EACS 2019. Immagine: @andreaantinori
Uno degli studi chiave che hanno evidenziato il problema dell’aumento di peso è ADVANCE, un trial controllato randomizzato condotto in Sudafrica e volto a verificare sicurezza ed efficacia di dolutegravir e tenofovir alafenamide (TAF). La dott.ssa Michelle Moorhouse di Ezintsha ha riferito a EACS maggiori dettagli sui risultati a 96 settimane della sperimentazione.
Gli aumenti di peso più pronunciati si sono registrati nei pazienti che assumevano una combinazione farmacologica composta da dolutegravir, TAF ed emtricitabina, con un aumento medio di 6 chili negli uomini e 9 nelle donne, prevalentemente dato da grasso ripartito in parti uguali tra busto e arti. Oltre il 20% delle donne randomizzate per assumere questa combinazione entro la 96° settimana erano diventate obese.
Inoltre, nei pazienti randomizzati per assumere questa combinazione di farmaci si è registrata più frequentemente l’insorgenza della sindrome metabolica, per la quale si intende obesità associata a due qualsiasi dei seguenti fattori: trigliceridi elevati, bassi livelli di colesterolo HDL, pressione alta, glucosio elevato; oppure alla presenza di un trattamento per uno qualsiasi di essi. È stata infatti osservata nel 9% dei pazienti che assumevano la combinazione dolutegravir/TAF/emtricitabina, contro il 5% di quelli trattati con dolutegravir/TDF (tenofovir disoproxil fumarato)/emtricitabina o il 3% di quelli trattati con efavirenz/TDF/emtricitabina.
È stato suggerito che alla base del maggiore aumento di peso osservato con questi nuovi regimi possa esserci il fatto che comportano meno effetti collaterali a livello gastrointestinale, dunque i pazienti assimilano meglio il cibo e hanno più appetito. Tuttavia è stata condotta un’indagine escludendo i soggetti che lamentavano tali effetti collaterali, dalla quale emerge che la tollerabilità non basta a spiegare le discrepanze in termini di aumento di peso.
Il campione di rugby HIV-positivo che si batte contro lo stigma
Gareth Thomas a EACS 2019. Immagine: Sven Huebner
L’ex campione ha raccontato della vergogna e del rimorso che ha provato dopo aver ricevuto la diagnosi, di “un orribile senso di isolamento, un senso di vergogna che aumentava ogni giorno”, al pensiero che non riusciva a dire la verità ai suoi familiari, agli amici e ai colleghi.
Ha dunque deciso di partecipare a un documentario televisivo della BBC per sensibilizzare il pubblico. “Volevo affrontare lo stigma di petto”, ha detto. “Volevo che tutti vedessero che riuscivo a farmi quattro chilometri a nuoto in mare, o 180 chilometri in bicicletta, o a correre la maratona, pur avendo l’HIV. Se ci riesco io, vuol dire che nulla è impossibile.
“Quel giorno ha rappresentato un piccolo passo avanti nella lotta per sensibilizzare le persone ed eradicare lo stigma. Ed è stato anche il giorno in cui ho imboccato una strada che per tanti anni avevo cercato di evitare, per poi rendermi conto invece che probabilmente era quello, il mio destino.”
La professoressa Chloe Orkin della British HIV Association ha così commentato: "Quello che ha fatto Gareth è stato davvero importante per i miei pazienti. Non fanno che parlarmi di quanta forza abbia dato loro il suo esempio e di come li abbia aiutati ad aprirsi e parlare dell’HIV.”
Obiettivo 90-90-90: passi avanti ma ancora forti disparità tra est e ovest d’Europa
Anastasia Pharris dell’ECDC a EACS 2019. Immagine: Gus Cairns
Per quanto riguarda la prima tappa dell’obiettivo (diagnosticare il 90% delle infezioni stimate), si calcola che l’80% delle persone con HIV nella regione europea sia oggi consapevole del proprio status sierologico. Oltre metà dei paesi europei hanno già raggiunto o sono vicinissimi a raggiungere questo target. Resta sempre il problema, in tutta la regione, delle diagnosi tardive: oltre la metà vengono infatti formulate dopo più di tre anni dall’acquisizione del virus.
Per quanto riguarda la seconda tappa (far sì che il 90% delle persone risultate HIV-positive sia in terapia antiretrovirale), si è invece ancora abbastanza lontani: solo il 65%. Il che significa che c’è circa un milione di persone HIV-positive che non riceve terapie. Qui si rileva un marcato divario tra Europa occidentale e orientale, perché in quest’ultima l’aggancio alle cure dopo la diagnosi è molto poco agile.
Infine, per quanto riguarda la terza tappa (far raggiungere l’abbattimento della carica virale al 90% delle persone in terapia), è vero che a livello di regione europea risulta virologicamente soppresso l’86% dei pazienti trattati, ma a causa delle disparità nell’accesso ai trattamenti restano ancora 1,2 milioni di persone con carica virale non soppressa.
Ci sono poi notevoli disparità anche per quanto riguarda le cosiddette popolazioni chiave: facendo il caso dei consumatori di droghe per via iniettiva, se il 90% delle infezioni stimate sono diagnosticate, solo il 50% di questi individui è in terapia e appena il 39% è in soppressione virologica.
Anastasia Pharris dell’European Centre for Disease Prevention and Control (ECDC) ha sottolineato che l’Europa non raggiungerà l’obiettivo 90-90-90 se non risolverà il problema rappresentato dal divario tra est e ovest in termini di prevenzione (riduzione del danno, PrEP, preservativi), diagnosi e trattamento.