Venerdì 15 novembre 2019

Semplificazione dei regimi, aumentano le opzioni di duplice terapia

Delphine Sculier del Geneva University Hospital presenta lo studio SIMPL’HIV a EACS 2019. Immagine: @Life4meplus

Alla 17° Conferenza Europea sull’AIDS dell’European AIDS Clinical Society (EACS 2019) tenutasi a Basilea, in Svizzera, è stata presentata una serie di studi su sicurezza ed efficacia, in pazienti virologicamente soppressi, dello switch da triplice a duplice terapia, ossia del passaggio da un regime a base di tre farmaci a uno composto soltanto da due.

Nell’ultimo aggiornamento delle linee guida dell’European AIDS Clinical Society sono raccomandate cinque possibili opzioni di duplice terapia per i pazienti virologicamente soppressi:

  • dolutegravir e rilpivirina (Juluca);
  • dolutegravir e lamivudina (Dovato);
  • darunavir potenziato e lamivudina;
  • atazanavir potenziato e lamivudina;
  • darunavir potenziato e rilpivirina.

Da uno studio condotto sulla combinazione dolutegravir/lamivudina non sono emerse significative differenze in termini di soppressione virale tra due bracci di pazienti trattati l’uno con duplice e l’altro con triplice terapia: né in base all’età del paziente, né all’etnia, al sesso, alla conta dei CD4 al baseline o al regime assunto al baseline.

I regimi composti da due soli farmaci potrebbero però non essere sufficientemente potenti per i pazienti che hanno sviluppato una resistenza a farmaci assunti in precedenza, dunque sono necessari ulteriori approfondimenti mirati sui pazienti farmacoresistenti. Un piccolo studio pilota presentato alla Conferenza ha dato risultati incoraggianti in pazienti con evidenza di resistenza pregressa alla lamivudina che sono passati a un regime a base di dolutegravir/lamivudina.

La dott.ssa Delphine Sculier e colleghi hanno indagato l’impiego di dolutegravir ed emtricitabina come opzione terapeutica per lo switch a regime duplice in uno studio denominato SIMPL’HIV. È stata scelta l’emtricitabina come alternativa alla lamivudina poiché ha un’emivita più lunga e sembrerebbe associata a un rischio inferiore di fallimento virologico e insorgenza di farmacoresistenze. Si tratta della prima sperimentazione dell’emtricitabina come uno dei componenti di un regime duplice, e i risultati ne attestano la non inferiorità rispetto alla triplice terapia.

Un altro studio ha invece evidenziato la non-inferiorità di un regime a base di darunavir potenziato e rilpivirina.

Il prof. Hans-Jürgen Stellbrink dell’Università di Amburgo ha tuttavia invitato alla cautela sui questi regimi duplici: “Attraverso il trattamento stiamo influenzando la biologia evoluzionistica, esercitando la massima pressione selettiva sul virus; e in 33 anni di carriera ho imparato che questa pressione selettiva non va assolutamente allentata.”

E se è vero che la duplice terapia si spera dia meno effetti collaterali a lungo termine, ha sottolineato ancora il professore, questo per ora resta comunque da dimostrare.

PrEP, risultati a 96 settimane dello studio DISCOVER

Sono stati presentati a EACS i risultati a 96 settimane dello studio DISCOVER, volto a raffrontare efficacia e sicurezza di due diverse formulazione dell’antiretrovirale tenofovir utilizzato come farmaco per la profilassi pre-esposizione (PrEP) ad assunzione giornaliera in uomini gay e bisessuali.

I risultati primari di DISCOVER erano già stati presentati al CROI lo scorso febbraio, ma all’epoca solo metà dei partecipanti aveva completato tutte le 96 settimane dello studio.

DISCOVER è un ampio studio internazionale nell’ambito del quale sono state messe a confronto due diverse formulazioni del tenofovir per l’impiego nella PrEP: il tenofovir alafenamide (TAF) e il tenofovir disoproxil fumarato (TDF), entrambe in combinazione con emtricitabina. Entrambe si assumono in un’unica compressa: la co-formulazione TAF/emtricitabina è disponibile solo come Descovy, mentre quella TDF/emtricitabina è sia nel Truvada sia in più economico generico.

Analogamente a quanto si era osservato con i risultati presentati a febbraio, gli eventi di infezione HIV nel braccio del Descovy sono stati otto, contro 15 in quello del Truvada. Si tratta di una differenza statisticamente non significativa e non si può escludere che sia solo un caso, per cui il Descovy può essere considerato non-inferiore al Truvada soltanto in termini di efficacia.

Di contro, è stata evidenziata una differenza rilevante nei marker di laboratorio della funzionalità renale e della densità minerale ossea. Alla 96° settimana, il tasso mediano di GFR (velocità di filtrazione glomerulare) risultava diminuito solo di 0,6 millilitri al minuto (ml/min) negli uomini trattati con il Descovy, contro i 4,1 ml/min in quelli trattati con il Truvada. Nel braccio del  Descovy si sono inoltre registrati aumenti dell’1% e dello 0,6% della densità minerale ossea nella regione spinale; in quello del Truvada si sono al contrario osservate diminuzioni del -1,4% e -1,0%.

A conferma del collegamento tra assunzione di TAF e aumento di peso, infine, i partecipanti trattati con Descovy hanno sperimentato in media un aumento di 1,7 kg, contro solo 0,5 kg per quelli che assumevano il Truvada.

Tenofovir (TDF) e malattia renale

Ricky Hsu presenta lo studio di coorte OPERA a EACS 2019. Immagine: @ThePeanutKidney

I risultati di un ampio studio di coorte condotto in America e presentato la scorsa settimana alla Conferenza indicano che con regimi antiretrovirali contenenti la vecchia formula del tenofovir (tenofovir disoproxil fumarato, o TDF) non aumenta il rischio di malattia renale cronica in pazienti con HIV mai trattati in precedenza e a basso rischio di malattia renale.

Il TDF era infatti stato associato a un aumentato rischio di sviluppare malattia renale cronica, in particolare nei pazienti trattati con una combinazione farmacologica comprendente il tenofovir associato a un agente potenziante (ritonavir o cobicistat). Con la nuova formula TAF (tenofovir alafenamide) ci sono meno probabilità di sviluppare insufficienza renale, ma non è ancora stato appurato se è necessario provvedere allo switch a un regime con TAF per tutti i pazienti, soprattutto alla luce del fatto che il TDF è anche disponibile in economiche versioni generiche.

Per indagare più approfonditamente il rischio di malattia renale cronica, gli autori dello studio di coorte OPERA hanno osservato 9802 individui che iniziavano il trattamento antiretrovirale con funzionalità renale nella norma (eGFR ≥ 60): oltre il 60% dei partecipanti hanno assunto un regime contenente TDF e sono stati seguiti per un periodo di tempo mediano di 29 mesi.

Non sono state evidenziate differenze nell’incidenza di malattia renale cronica associabili all’impiego di TDF o di un agente potenziante.

Tuttavia, l’analisi di un ampio studio randomizzato condotto in Sudafrica ha evidenziato che il TAF sarebbe associato a un rischio sensibilmente inferiore di ridotta funzionalità renale. Si tratta di uno studio della durata di 96 settimane, denominato ADVANCE, che ha raffrontato l’efavirenz con due regimi contenenti dolutegravir, in combinazione uno con il TDF, l’altro con il TAF.

Dallo studio è emerso anche che il trattamento con TAF risultava associato a un rischio inferiore di osteopenia (riduzione della massa ossea).

Come valutare i casi di apparente fallimento della PrEP?

Slide della presentazione di Hans Benjamin Hampel a EACS 2019.

Alla Conferenza è stato riferito di un altro evento di infezione HIV nonostante la PrEP, evento che si è verificato malgrado la persona coinvolta a quanto pare aderisse correttamente al trattamento. Si tratta di un caso accaduto in Svizzera, a un uomo gay molto informato sulla PrEP e molto motivato a mantenere una corretta aderenza. Molteplici sono i fattori che potrebbero contribuire a spiegare questo apparente fallimento:

  • l’uomo aveva effettivamente interrotto per un periodo la PrEP, cinque settimane prima di ricevere la diagnosi di HIV; ha poi avuto rapporti sessuali solo sette giorni dopo aver ripreso ad assumere i farmaci profilattici, ma non è in grado di escludere di averne avuti anche altri in precedenza, di cui non si ricorda;
  • l’uomo presentava un’infiammazione della regione rettale causata dall’infezione a trasmissione sessuale lymphogranuloma venereum (LGV), e questo è possibile che abbia aumentato le probabilità di contrarre il virus;
  • è possibile, anche se poco probabile, che abbia contratto un ceppo virale con un certo grado di resistenza pregressa alla PrEP;
  • Per qualche ragione (per esempio a causa di un’efficiente escrezione renale) quest’uomo presentava livelli piuttosto bassi di farmaci PrEP nell’organismo, soprattutto per quanto riguarda il tenofovir. Normalmente sarebbero comunque stati sufficienti, ma forse la concomitanza con uno o più dei fattori di cui sopra ha fatto sì che non bastassero a prevenire l’infezione.

Sono casi che probabilmente continueranno a capitare, ha spiegato alla conferenza il dott. Hans Benjamin Hampel dello Zürich University Hospital, e probabilmente dovremmo anche smettere di cercare di stabilire in quali casi il fallimento della PrEP si verifica nonostante ci siano prove irrefutabili di un’aderenza corretta al 100%. È una cosa talmente difficile da provare che potremmo restare per sempre con il dubbio su quanto spesso possa succedere – se mai succede – che si contragga il virus nonostante i farmaci profilattici vengano assunti esattamente come prescritto.

In questo tipo di casi probabilmente non sarà mai possibile attribuire con certezza l’infezione a una sola causa: perciò conviene forse piuttosto documentare le possibili cause di fallimento della PrEP e creare un database in modo da iniziare a distinguere le cause prevalenti da quelle meno comuni. Per questo un gruppo di studiosi di Copenaghen ha avviato un progetto per documentare gli eventi di apparente sieroconversione nonostante la PrEP e costruire una coorte di casi.

Uso di droghe per il chemsex più diffuso in UK tra i pazienti di alcuni centri HIV

Katie Conway del Kent Community Health a EACS 2019. Immagine: Gus Cairns

In un’indagine condotta su uomini gay e bisessuali HIV-positivi in carico presso centri specializzati in Inghilterra, Spagna, Grecia e Italia, gli inglesi hanno riferito più frequentemente di fare uso di sostanze stupefacenti a scopo ricreativo, soprattutto quelle specificamente associate al cosiddetto chemsex, ossia l’uso di sostanze per migliorare le prestazioni sessuali. Gli inglesi hanno anche riferito molto più spesso di fare uso di droghe iniettive rispetto agli intervistati degli altri tre paesi.

L’indagine ha preso in considerazione solo un gruppo di pazienti selezionati, quindi non se ne possono trarre conclusioni generali sulla diffusione del chemsex tra gli uomini gay e bisessuali in questi quattro paesi (questo articolo contiene informazioni ricavate da una più ampia indagine in merito all’assunzione di farmaci o sostanze illegali da parte degli uomini gay in Europa). Ma il tasso di uso di sostanze stupefacenti in questa coorte di uomini HIV-positivi è sensibilmente più elevato, ed è un dato che colpisce.

In media, nei quattro paesi considerati, il 44% degli uomini che hanno partecipato all’indagine ha riferito di aver fatto uso di stupefacenti almeno una volta nel corso dell’ultimo anno. La percentuale più alta è quella degli inglesi (il 51%) e quella più bassa (33%) degli italiani. La forbice si amplia ulteriormente per le sostanze usate specificamente per il chemsex: dal 33% degli intervistati inglesi al 22% degli spagnoli, al 19% dei greci e solo il 13% degli italiani.

Per di più, solo per gli inglesi l’assunzione di droghe per via iniettiva è risultata non poco comune: l’ha infatti riferita il 13% di loro, contro il 4% dei greci, il 2% degli spagnoli e l’1% degli italiani.

Gli intervistati inglesi hanno poi riferito alcuni problemi medici e sociali in percentuali un po’ più alte rispetto agli uomini degli altri tre paesi. Un’esperienza negativa vissuta notevolmente più spesso dagli inglesi è aver subito un rapporto non consensuale dopo aver assunto droghe, riferito dal 6% degli intervistati inglesi contro il 2/3% di quelli degli altri paesi.

La dott.ssa Katie Conway del Kent Community Health ha segnalato che è preoccupante anche lo scarso ricorso al supporto professionale da parte di chi ha subito esperienze di questo genere: solo un uomo su sei ha infatti dichiarato di essersi rivolto a qualcuno che li aiutasse.